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Dolci a Padova Il miele

Dei prodotti dell’alveare questo alimento spicca per le sue qualità.

Molto utilizzato in pasticceria, in particolare quello di acacia per il suo gusto delicato e il suo potere edulcorante che lo rende adatto a sostituire il saccarosio.


IL MIELE È LEGATO ALLA STORIA

di tante popolazioni e ha rappresentato per millenni l’unico alimento zuccherino concentrato disponibile e sembra che l’origine del nome si possa far risalire all’idioma ittita Melit.

La testimonianza più antica del rapporto tra uomo e miele è stata scoperta in Spagna nel1921, a Bicorp, in una grotta denominata “Grotta del ragno”, dove una serie di incisioni rupestri perfettamente conservate rappresentano scene di caccia in cui appaiono anche uomini intenti a raccogliere miele da un alveare selvatico.


Dolci a Padova con miele .



Anche in Egitto gli archeologi hanno rinvenuto accanto a una mummia torte di miele e anfore di miele sigillate che, in alcuni casi, contenevano un prodotto ancora perfettamente conservato.

I greci lo consideravano l’alimento degli Dei, per cui era sempre presente sulle tavole sia come ingrediente, sia come condimento di svariati dolci; inoltre anche il vino era aromatizzato con il miele perché, oltre a renderlo dolce svolgeva un’importante conservante.

Re Rua I romani ne utilizzavano moltissimo per cui dovevano importarne grandi quantità da Creta, Cipro, Spagna e Malta.


Dolcetti a Padova il miele sempre presente .


I DIFFERENTI UTILIZZI.

Moltissimi sono stati e sono tuttora gli usi del miele, sopratutto in cucina, sia come ingrediente nella preparazione di dolci padovani sia per la correzione di bevande e sapori.

Tra le bevande la più nota è l’idromele, ottenibile dalla fermentazione di una miscela fra miele e acqua. Noi a padova ci aggiungiamo un goccio di Rum -BARCELÓ- Il rom domenicano.

Diverse ricette utilizzano il miele come ingrediente di salse e nella preparazione di carni e, in generale di cibi salati.

Non si deve però dimenticare che oltre al settore alimentare, il miele ha trovato da sempre largo impiego anche in altri campi quali la cosmesi e lo sport.

In effetti, le virtù terapeutiche attribuite al miele nel corso del tempo, tramandate dalla medicina popolare e riportate da testi e riviste più o meno specializzati, riprese secondo i corsi e i ricorsi della moda, sono numerosissime anche se manca però un’efficace ed ampia sperimentazione clinica in grado di supportare ogni affermazione.

Il dolce del Santo a Padova , con miele.



ZUCCHERI & CO

Gli zuccheri sono la componente principale del miele i quali, oltre a conferire il valore alimentare, sono importanti per altre proprietà come la consistenza, la viscosità e l’igroscopicità.

La componente zuccherina è rappresentata soprattutto

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Olio di Oliva EVO

Un alimento antico, sempre più utilizzato anche in pasticceria

Presente da tempi antichissimi nell’alimentazione dei popoli mediterranei, questo alimento/ingrediente sano e nutriente è via via più impiegato in cucina e in pasticceria sia per la frittura di proposte da ricorrenza sia nelle ricette di torte e cioccolatini. Esaminiamone tipologie caratteristiche, proprietà, usi e consumi in modo da utilizzarlo al meglio per realizzare dolci prelibati e di alto valore nutrizionale.

Da millenni l’olio d’oliva è uno dei protagonisti della tavola mediterranea.

L’olio extravergine di oliva, derivato esclusivamente dalla spremitura meccanica delle olive, non è solo una delizia per il palato o un semplice condimento, ma un vero e proprio alimento.

La pianta dell’olio affonda le sue radici nelle remote culture delle più antiche civiltà.

Tracce fossili dell’olivo spontaneo, nella zona mediterranea, portano la data di milioni di anni fa, prima cioè della comparsa dell’uomo.

I numerosi rinvenimenti archeologici, i racconti tradizionali e i testi religiosi inducono a pensare che le origini dell’olivo e la sua coltivazione risalgono a circa 6000/7000 anni fa in Asia Minore, probabilmente nei territori che si estendono tra il Caucaso, le pendici ovest dell’altopiano iraniano e le coste mediterranee della Siria e della Palestina.

Da qui, l’olio, nel corso dei secoli, si è diffuso in tutto il bacino mediterraneo.

I Greci conoscevano anche diverse varietà di olivi selvatici dai quali raccoglievano minuscoli frutti con cui producevano un olio amaro.

L’olio attico era considerato tra i migliori, ma erano molto apprezzati anche gli oli di Samo, Cirene e Cipro.

In Italia fu introdotto da Idomeneo, re di Cretà, che lo portò nella penisola salentina dopo averla conquistata.

Le zone di Sibari e di Taranto producevano gli oli più importanti della Magna Grecia, mentre nell’Italia centrale erano importanti quelli della Sabina e del Piceno e nell’Italia del nord le produzioni delle coste della Liguria.

L’importanza per l’alimentazione

Per la sua importanza e per la sua utilità, l’olivo rivestì sempre un ruolo di primo piano oltre che per i suoi significati simbolici e religiosi anche per l’alimentazione.

Inoltre, veniva usato per la pulizia del corpo, per la cura di numerose malattie e come combustibile per le lampade.

Già nell’antichità era quindi una coltura specializzata, fonte di ricchezza economica e commerciale.

Le olive venivano raccolte ancora acerbe (olive albae o acerbae ) , non del tutto mature ( olive variae o fuscae ), matura (olive nigrae ) in periodi diversi a seconda dell’uso cui erano destinate.

Con l’affermarsi dell’olivo si è diffusa nel mondo una nuova civiltà alimentare, riscoperta dalla scienza contemporanea e nota come “dieta mediterranea”.

Oggi, l’area colturale dell’olivo va dal 30° al 45° parallelo di latitudine nord, su una fascia a clima temperato.

Questo insieme di caratteristiche è presente in tutta la fascia costiera mediterranea e in particolar modo in quella italiana, dove la varietà dei terreni e le efficienti tecniche produttive permettono la realizzazione di un prodotto di ottima qualità.

In Italia, la cottura dell’olio, si estende su oltre un milione di ettari e le regioni che detengono il 60% della superficie nazionale coltivata a olivo sono la Puglia, la Calabria e la Sicilia.

L’olio di oliva è un olio alimentare caratterizzato da un contenuto molto elevato di grassi monoinsaturi.

Nella tipologia vergine si ricava dalla spremitura meccanica dell’oliva, frutto della specie Olea europea.

Altre tipologie merceologiche di olio derivato dalla olive, ma con proprietà dietetiche e organolettiche differenti, si ottengono per rettificazione degli oli vergini e per estrazione con solvente dalla sansa di olive.

Le olive sono tradizionalmente raccolte battendo le fronde con bastoni, in modo da provocare la caduta dei frutti sulle reti poste sotto gli alberi.

Una tecnica più moderna prevede l’utilizzo di abbacchiatori meccanici che scuotono i rami con minore danneggiamento per la pianta e le olive cadono su una rete predisposta a terra che permette poi di raccoglierle più rapidamente e con minore fatica.

La raccolta a Manno con appositi pettini e sacche a tracolla su lunghe scale a pioli di legno è ancora praticata in molte zone di Puglia, Sicilia, Abruzzo e Lazio nella Sabina in particolare. Queste tecnica, sicuramente dispendiosa, consente di raccogliere frutti integri e al giusto grado di maturazione.

È ancora preferibile per le olive da conserva, ma rappresenta il primo degli elementi fondamentali per ottenere un olio extravergine di oliva fragrante e privo di odori sgradevoli.



Non meno importante al fine di ottenere un olio vergine esente da difetti è il metodo di stoccaggio delle olive.

L’ideale è che le olive vengano raccolte in apposite cassette aerate, che queste cassette vengano conservate lontano da fonti di calore e che le olive vengano trattate nel giro di 18-24 ore dalla raccolta.

Questo garantisce che le olive non fermentino in modo anaerobico dando origine alla formazione di composti secondari responsabili dei difetti dell’olio.

La produzione dell’olio d’oliva di maggiore importanza si basa su processi di estrazione esclusivamente meccanici.

In questo modo si distinguono gli oli vergini dagli altri tipi di olio ottenuti mediante processi basati su metodi fisico-chimici.

I disciplinari per le produzioni con Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.) prevedono spesso l’utilizzo di tecniche tradizionali e norme restrittive e severe con l’intento di garantire un prodotto di qualità superiore e tradizionale con particolare riferimento alle varietà usate, che devono essere autoctone.

In Italia esiste un patrimonio immenso ma non sapientemente valorizzato: infatti, nel nostro Paese, sono presenti numerose varietà di olive autoctone.

I tipi di olio di oliva.

Olio di oliva vergine è, per legge, l’olio ottenuto dal frutto dell’olivo soltanto mediante processi meccanici o altri processi fisici in condizioni che non causano alterazione dell’olio, e che non abbiano subito alcun trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla filtrazione.

Sono esclusi gli oli ottenuti mediante solvente o con coadiuvanti ad azione chimica o biochimica o con processi di riesterificazione e qualsiasi miscela con oli di altra natura.

Le denominazioni commerciali sono rigorosamente codificate dalla Unione Europea nella direttiva 136/6623/CEE.

Il Reg. CE 2568/91 e in ultimo il Reg. CE 1989/03 che individua, per l’olio di oliva, le seguenti categorie:

Torte di pasticceria con olio d’oliva

Oli ottenuti con la sola spremitura meccanica a basse temperature

  • Olio extravergine di oliva, se l’acidità espressa come acido oleico libero è inferiore allo 0.8% (p/p);
  • Olio vergine di oliva, se l’acidità espressa come acido oleico libero non è superiore al 2% (p/p).

Olio lampante e derivati:

  • Olio di oliva vergine lampante, ottenuto mediante spremitura meccanica ma con alta acidità o altri difetti organolettici (non è ammesso alla vendita diretta);
  • Olio di oliva rettificato, prodotto ottenuto mediante rettificazione chimica dell’olio lampante per eliminare l’acidità ( non è ammesso alla vendita diretta);
  • Olio di oliva, miscela di oli raffinati e oli di oliva vergini con acidità non superiore all’1% ( è ammesso alla vendita diretta).

Olio di sansa e derivati

  • Olio di sansa di oliva greggio, ottenuto dai residui della spremitura mediante solventi chimici ( non è ammesso alla vendita diretta);
  • Olio di sana di oliva rettificato, ottenuto da olio di sansa greggio sottoposto a una ulteriore rettificazione chimica ( non è ammesso alla vendita diretta);
  • Olio di sansa di oliva, ottenuto da olio di sansa rettificato miscelato con olio vergine ( non ammesso alla vendita diretta).

Nonostante la lunga storia dell’olio di oliva e le continue innovazioni tecnologiche i processi che più influiscono sulla qualità finale dell’olio sono la frangitura o molitura, la gramolatura e l’estrazione.

Attualmente i metodi di molitura più utilizzati sono quello tradizionale dove due mole di granito girano su un grande piatto e frantumano le olive per ottenere la pasta e quello moderno a ciclo continuo, dove la pasta di oliva si ottiene spezzettando le olive grazie a una serie di martelletti meccanici.

Una volta ottenuta la pasta di olive si passa alla seconda operazione in apposite gramolartici.

La gramolatura è un passaggio delicato, in quanto la pasta viene nuovamente lavorata, rimescolandola a temperatura controllata.

Così facendo si riduce il volume della pasta stessa, si rompono le emulsioni di acqua e olio che si sono formate durante la frangitura favorendo così la successiva fase dell’estrazione.


Questa è considerata l’operazione più importante di tutta la lavorazione.

Nell’estrazione tradizionale la pasta gramolata viene spalmata su appositi fiscoli ( pannelli circolari filtranti in fibra sintetica, mentre un tempo erano di fibra vegetale) forati in modo tale da poter essere sovrapposti e impilati in una colonna di acciaio adagiata su un carrello dotato di scalanature.

Una volta formata la torre, si effettua una spremitura con la pressa idraulica.

Nell’estrazione a ciclo continuo con centrifuga la pasta viene immessa in un decanter a due o tre uscite aggiungendo acqua ( dal 10 al 20% rispetto al peso delle olive) a una temperatura controllata di circa 28°C.

Il metodo con percolamento sfrutta la differente tensione superficiale dell’olio e dell’acqua di vegetazione presenti nella pasta di olive gramolata.

Facendo affondare un numero elevato ( circa un migliaio ) di pettini in acciaio nella pasta di olive, quest’ultimi si ricoprono di un velo d’olio che viene fatto sgocciolare in un apposito contenitore.

A questo punto l’olio è pronto per essere consumato o conservato in ambienti privi di odore, protetti dalla luce e a una temperatura di circa 15°C.

Il pannello solido residuo (sansa) solitamente viene inviato ad altri stabilimenti dove è sottoposta a una diversa lavorazione e raffinazione per ottenere l’olio di sansa.

L’olio di oliva racchiude una gamma di prodotti diversi per qualità e caratteristiche, per cui è molto importante la denominazione di vendita riportata sull’etichetta in caratteri chiari e comprensibili per il consumatore.


Cioccolato e zucca e mandorla

Come è fatta:

  • Base di frolla con olio di oliva
  • Zucca cotta impreziosita dalla mandorla
  • Crema al cioccolato
  • Ganache cremosa al cioccolato fondente
  • Sale pistacchio qualche goccia di olio

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Caratteristiche e proprietà

Da millenni l’olio è protagonista nella tavola mediterranea.

Il sapore dell’olio può variare molto a seconda delle varietà di olive da cui è prodotto, luogo di produzione, grado di maturazione, modalità di raccolta del frutto.

L’olio di oliva è tra tutti gli oli vegetali quello a più alto grado di digeribilità da parte dell’organismo umano.

Oltre ai trigliceridi e grassi polinsaturi, contiene infatti sostanze antiossidanti che esplicano un’azione protettiva per il nostro organismo.

L’olio d’oliva fornisce altresì un ottimo apporto di precursori della provitamina A e grazie a ciò l’olio extravergine di oliva impedisce la secchezza delle mucose e rallenta l’invecchiamento della pelle

La presenza di significativi livelli di vitamina D fa sì che l’olio d’oliva permetta una conseguente buona attività contro la decalcificazione ossea negli anziani.

La sua elevata digeribilità gli consente di essere considerato un ottimo veicolatore di sostanze antiossidanti e vitaminiche presenti in altri alimenti e in sua assenza difficilmente assimilabili. 

L’equilibrata presenza dell’acido linoleico, linolenico e arachidonico favorisce la riduzione della colesterolemia.

Grazie alla elevata presenza di acido oleico la struttura dell’olio d’oliva resta praticamente inalterata fino a 200 °C.

Come sostenuto dai nutrizionisti, l’olio extravergine di oliva è un alimento fondamentale per tutte le diete.


Per i bambini, per il grande apporto di acido oleico presente in quantità rilevante anche nel latte materno, per gli sportivi perché è fonte di energia prontamente digeribile e nell’età senile in quanto limita la perdita di calcio nelle ossa.

In Italia gli utilizzi dell’olio di oliva nelle preparazioni culinarie vanno dagli antipasti alle salse, dalle minestre agli arrosti e a tutti i piatti tipici regionali, comprese pizze e focacce.

Un patrimonio di sapori caratterizzato dalle molteplici qualità degli oli tipici delle zone di produzione.

Il gusto dell’olio, infatti, può variare non solo da una regione all’altra, ma persino da un’azienda all’altra.

In cucina l’olio è l’insostituibile sostegno che accompagna morbidamente i diversi tipi di cottura.

Ma la cultura dell’olio, oggi particolarmente riconosciuta sia in ambito culinario che sanitario, sta facendo proseliti anche fra i ristoratori.

L’aroma e il sapore dei singoli oli secondo la zona di produzione meritano un adeguato riconoscimento.

Dopo la carta dei vini, nei ristoranti più sensibili alle tradizioni gastronomiche è presente anche la Carta degli Oli, affinché i commensali possano scegliere l’olio più gradito per accompagnare il pranzo.

Come per i vini di pregio, la Carta degli Oli, accanto al nome e alla regione di provenienza dovrebbe riportare, come suggerimento, anche l’abbinamento con il piatto consigliato.

Come valutare la qualità

La valutazione della qualità merceologica dell’olio di oliva si basa sulla determinazione di alcuni parametri chimici ( acidità, numero dei perossidi, assorbimento alla luce ultravioletta) insufficienti per formulare un giudizio anche sulla qualità sensoriale del prodotto.

Pertanto per rendere il più possibile oggettivo l’accertamento delle caratteristiche organolettiche dell’olio di oliva vergine, esiste un metodo di valutazione sensoriale basato sulla tecnica del Pannel Test.




Per tale esame gli assaggiatori allenati all’apprezzamento delle caratteristiche olfatto-gustative degli oli vergini compilano una scheda guida, in modo separato e autonomo e accertano la presenza e l’intensità delle sensazioni di base ( pregi e difetti).

Il valore medio delle sensazioni di base ( pregi e difetti).

Il valore medio delle schede individua, nella scala, il livello qualitativo dell’olio e quindi la categoria di appartenenza.

La qualità, purtroppo, può essere messa in dubbio dalla reale provenienza dell’olio.

Infatti, secondo la legislazione europea può essere prodotto in una zona del Mediterraneo e imbottigliato altrove.

In alcuni casi sono stati impiegati anche oli rettificati.

In questo caso un esperto riesce a capirlo a freddo con un cucchiaino.

Meglio, mettendo l’olio su un cibo caldo per rendere volatile il solvente e sentire un cattivo odore anziché profumo di olive.

Per assaporare le doti dell’olio bisognerebbe degustarlo a crudo.

L’olio spremuto a freddo con macine in pietra presenta caratteristiche che lo rendono particolare come l’acidità molto bassa, il colore tendente al verde, un profumo intenso di olive fresche accompagnato da un sapore mediamente fruttato, talvolta pungente e un basso numero di perossidi in quanto indicatori dello stato di ossidazione degli acidi grassi.


I vantaggi per la salute

La possibilità di evidenziare la quantità di polifenoli presenti rappresenta un nuovo indice di grande interesse.

Queste sostanze sono riconducibili alle più importanti proprietà organolettiche quali i profumi (frutto), gli odori ( come mela , carciofo, mandorla, pinolo), i gusti tipici ( amaro, piccante, dolce), le proprietà biologiche, le capacità antiossidanti, conservanti e salutari e sono anche riconosciuti come marker di qualità per evidenziare la tracciabilità e la presenza di eventuali frodi.

Pur non essendo contemplati dalla legislazione nazionale e comunitaria, poter indicare un elevato contenuto di polifenoli riveste particolare importanza per la valutazione qualitativa di un aspetto dell’amaro e dal piccante di grande importanza per l’apprezzamento degli oli di oliva vergini.

Infatti la gradevolezza di tali sensazioni dipende essenzialmente dall’intensità con cui si percepiscono queste sostanze.



Oli troppo amari e piccanti possano non essere grandi ma una giusta presenza esprimerà senz’altro un fruttato più completo.

La presenza di queste due sensazioni è garanzia di una maggiore conservabilità del prodotto in quanto l’amaro e il piccante sono correlati alle sostanze polifenoliche che, essendo potenti antiossidanti naturali, impediscono che gli acidi grassi insaturi dell’olio siano ossidati rendendolo i tal modo rancido.

Ai polifenoli sono state riconosciute numerose funzioni, da quella antiossidante a quella antinfiammatoria, antiallergica, antibatterica e antivirale.

I polifenoli sembra possano essere utili, insieme con altri pigmenti naturali e composti vitaminici, nella prevenzione delle malattie cronico-degenerative come quelle cardiovascolari e i tumori.

Nell’olio di oliva sono presenti altre sostanze come le vitamine liposolubili (𝛃-carotene o provitamina A e le vitamine D ed E).



I carotenoidi e le clorofille sono responsabili della colorazione gialla i primi, verde le seconde.

Queste sostanze, di cui l’olio è particolarmente ricco, sembra svolgano un ruolo diretto come agenti anticarcinnogenici.

La riduzione di alcuni tipi di cancro è, infatti, direttamente proporzionale all’uso di olio di oliva e di olio extravergine di oliva.

In Italia, ad esempio, il tasso di mortalità a causa di questo terribile male è molto contenuto nel sud, dove si produce e si fa largo uso di olio di oliva.

È più marcato nel centro Italia, ma aumenta sensibilmente nel nord, dove vi sono abitudini alimentari legate a una dieta maggiormente ricca di grassi di origine animale.

L’attuale ricerca medica, pur non smettendo le prescrizioni sopra indicate, anche se un pò troppo generiche, raccomanda l’uso dell’olio di oliva nell’alimentazione per prevenire l’invecchiamento e per preservare l’organismo dalle malattie cardiocircolatorie.

Infatti, gli approfondimenti clinici e terapeutici hanno dimostrato che il particolare rapporto fra gli acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi che caratterizzano la composizione dell’olio di oliva e la naturale presenza di microcostituenti fanno sì che esso possegga una serie di preziose proprietà, quali, ad esempio, facile digeribilità e resistenza alla cottura, azione ritardante l’invecchiamento cellulare, azione preventiva nei confronti della formazione di calcoli biliari, effetto favorevole per lo sviluppo cerebrale, effetto antitrombico e ipocolesterolimizzante.


Il 3° Congresso internazionale di Barcellona sulla dieta mediterranea ha ribadito il ruolo dell’olio di oliva nella prevenzione e nel controllo di diverse condizioni patologiche, ruolo che viene ascritto alla sua peculiare composizione, ricca in acidi grassi monoinsaturi e sostanze antiossidanti, tra cui alfatocoferolo e polifenoli.

La corsa verso la sofisticazione dell’olio di oliva italiano, prodotto base della mediterranea e più ricercato al mondo, vede ai primi posti oli fatti con miscele di olio d’oliva e olio lampante importati dall’estero ( Spagna, Grecia, Tunisia, Turchia, Siria).

Infatti è possibile con semplici accorgimenti eliminare odori e acidità e una volta mescolati con extravergine italiano, etichettarli e metterli in commercio come olio extravergine d’oliva italiano.

Recentemente sono state scoperte produzioni a base di olio di nocciola che, avendo una composizione chimica ed organolettica molto simile a quella dell’olio d’oliva, lo rende particolarmente adatto alla sofisticazione.

Queste preparazioni sono commercializzate come olio extravergine di oliva e ciò è possibile perché sulle etichette non è obbligatorio indicare l’origine delle olive.

Solo con l’applicazione della legislazione sulle tracciabilità si potranno limitare queste frodi.

L’aumento dei consumi

In Italia i consumi medi si aggirano intorno a 650-700 mila tonnellate/anno e sei ne producono mediamente ogni anno circa 650 mila tonnellate, tuttavia l’Italia esporta circa il 30%-40% della sua produzione ( verso Stati Uniti, Germania, Giappone), e il fenomeno è in continua crescita specialmente verso i paesi dell’est.


Infatti l’olio italiano è il più richiesto al mondo per la sua pregiata qualità, ed è per questo motivo che l’Italia è leader mondiale nell’esportazione di questo prodotto.

Con i dati citati è facile capire che per soddisfare il mercato interno manca all’appello quasi la metà dell’olio che si consuma in Italia.

I dati ISTAT indicano che importiamo olio da Spagna, Grecia, Tunisia, Turchia, Siria e Marocco sopratutto per soddisfare i consumi interni e ne esportiamo quasi altrettanto, ma con valore e qualità superiori.

La normativa vigente infatti, non obbliga l’indicazione di origine in etichetta, che consente di verificare oltre al marchio la reale origine delle olive impiegate per cui se non si conosce il produttore e manca la garanzia del marchio la reale origine delle olive impiegate per cui se non si conosce il produttore e manca la garanzia del marchio, una buona parte dell’olio di oliva extravergine presente sul mercato non è di provenienza italiana.



L’utilizzo in pasticceria

L’olio di oliva è utilizzato soprattutto in cucina, principalmente quello extravergine per condire insalate, insaporire vari alimenti, conservare verdure in barattolo e, essendo caratterizzato da un punto di fumo molto alto, per preparare fritture e in pasticceria.

Attualmente nella preparazione dei dolci si tramanda l’uso dei prodotti specifici della zona, in particolare l’olio, l’uva, le castagne, i fichi.

La tradizione italiana espressa dalle numerose preparazioni di pasticceria denotano una qualificazione straordinaria, dovuta al fatto che le tradizioni in questo settore hanno valorizzato la capacità, la fantasia, la ricerca, con il risultato di prodotti di elevata qualità.

Tutto concorre a confermare una caratteristica di tipicità, dal laboratorio dolciario al prodotto finito.

È facile, pertanto, trovare preparazioni nelle quali l’olio, preferibilmente extravergine, diventa una componente essenziale per ottenere ottimi e gradevoli risultati, come nei dolcetti all’olio di oliva della Liguria oppure nel Pan di ramerino toscano che è considerato un dolce sacro perché in origine veniva fatto per essere benedetto e mangiato solo il Giovedì Santo e venduto fuori dalle sette chiese dove si visitavano i sepolcri.

Anche i cantuccini possono essere preparati con olio fritto con buccia di limone.

Infine, in un precedente articolo pubblicato sul pasticcere si usa l’olio di oliva per fare un’ottima torta al cioccolato e pere che può essere mangiata anche da chi è affetto da celiachia.

Sicuramente l’olio di oliva non potrà essere la panacea di tutte le problematiche alimentari tuttavia , è ormai acclarato che un utilizzo costante con prodotti di sicura qualità può contribuire a ridurre i maggiori rischi per la salute rappresentanti dalle attuali tendenze alimentari che privilegiano l’eccesso di cibi troppo raffinati e dei fast food.


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Le uova contengono lattosio

Dal punto di vista dietetico l’uovo è considerato un ottimo nutriente, le sue proteine hanno un valore biologico tra i più alti in assoluto e il suo impiego in pasticceria è praticamente indispensabile. Eccone caratteristiche, proprietà e utilizzi.

I panettoni a Padova ricchi di uova.

Giuggiola il Panettone Sant’Antonio.

Ricco di uova fresche per un impasto soffice come una nuvola.

Giuggiole dolci per un’aroma unico.

Una crema al cioccolato bianco e brodo di giuggiole per distinguere ogni momento.

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Le uova, base, insieme alla farina, della pasticceria.


Le qualità alimentari dell’uovo sono sempre state apprezzate dall’uomo e una testimonianza interessante è presente negli scritti di storici greci che, dopo alcuni viaggi in Nord Africa, narrano di come i Cartaginesi preferissero cibarsi di uova di struzzo mentre gli Egiziani, oltre ad allevare e consumare i polli, avevano realizzato un sistema artificiale per l’incubazione delle uova.

Anche i Greci consumavano le uova di gallina e le apprezzavano al punto da fare scrivere al medico greco Galeno che nella dieta di una persona anziana non dovevano mai mancare.

Presso i Romani le uova di gallina, insieme a pane, olive e vino, componevano la – gustatio– della cena.

Ancora oggi l’uovo è un prodotto base della cultura gastronomica di tutti i Paesi del mondo, essendo consumato ogni giorno da milioni di persone grazie alla sua capacità di conferire un elevato apporto di proteine nobili, di sali minerali e di vitamine.

Sia mangiato alla coque o al tegamino, come frittata o soufflé, l’uovo è un alimento sano e nutriente, ideale per grandi e bambini fin dallo svezzamento.

Nel 2019 il consumo in Italia era pari a 12 miliardi e 636 milioni di unità, ovvero circa 218 uova a testa equivalenti a 13,7 kg pro capite.

Le statistiche riportano che, nei primi anni ’50, ogni italiano mangiava in un anno 8 kg di uova per cui l’attuale maggiore consumo farebbe considerare l’uovo un alimento ricco, sano, nutriente e digeribile.

Per ciò che concerne il gusto degli italiani le statistiche indicherebbero che il maggiore consumo di uova è collegato a quello di pasta, dolci, creme ed altre preparazioni alimentari.

ASPETTI NUTRIZIONALI E CONSUMI.


Dal punto di vista dietetico l’uovo, in generale, è considerato un ottimo nutriente perché contiene una buona dose di vitamina A ( con due uova si arriva a coprire circa un quarto del fabbisogno giornaliero), B e D.

Con l’uovo si apporta calcio, potassio, sodio, magnesio, fosforo, zinco, rame e ferro in quantità paragonabili a quelle fornite dalla carne.

Le proteine hanno un valore biologico tra i più alti in assoluto perché contengono tutti gli aminoacidi essenziali in concentrazione equilibrata e in forma assimilabile.

Un uovo di gallina fornisce circa 8-12 grammi di proteine nobili, ripartite tra albume e tuorlo. Il tuorlo contiene anche circa 7-8 grammi di lipidi i cui trigliceridi sono costituiti da acidi grassi saturi per il 30%, mentre il restante 70% è costituito da lecitina e da acidi grassi insaturi, come l’acido oleico, l’acido linoleico e l’acido linolenico.

Questi ultimi due sono definiti acidi grassi essenziali perché devono essere introdotti con la dieta, dato che il nostro organismo non è in grado di sintetizzarli. Anche la presenza del colesterolo è importante poiché, comunque, senza arrivare a eccessi patologici, rimane una sostanza fondamentale per l’uomo in quanto indispensabile per la produzione delle membrane cellulari, degli ormoni steroidei e dei sali biliari.

Oggi, grazie a un’adeguata selezione delle razze, gli studi dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione riportano che la concentrazione media di colesterolo contenuto nel tuorlo è diminuita mediante dell’8%.

L’uovo possiede anche proprietà antiossidanti in quanto nel tuorlo sono presenti due importanti carotenoidi come la luteina e la zexantina .

Originale Dolce del Santo “Origine”

Il ripieno alle mandorle alleggerito dal tuorlo e il burro rende la torta di Sant’Antonio oltre che una bontà un nutriente essenziale per corpo e spirito parola di pasticcere.

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Composizione chimica e valore energetico delle uova di gallina per 100 g di parte edibile ( Banca dati INRAN)

UOVO

Componente Fresco interoAlbume Tuorlo Congelato Polvere intero
PARTE EDIBILE 87100100100100
ENERGIA (KCALKJ)128/53543/180325/1360128/535537/2246
ACQUA 77.187.753.577.14.1
PROTEINE (g)12.410.715.812.451.9
LIPIDI (g)8.7TRACCE29.18.736.4
CARBOIDRATI (g di zuccheri solubili)TracceTracceTracceTracce0.4
COLESTEROLO (mg)371013373711600

Minerali (MG)

Componente Fresco interoAlbume Tuorlo Congelato Polvere intero
Sodio13717943137573
Potassio 13313590133556
Calcio48711648201
Ferro1.50.14.91.56.3
Magnesio1312141354,4
Zinco1.20.262.141.25.0
Rame0.060.040.160.060.3
Fosforo21015586210879
Selenio5.83.29.65.824.3

Vitamine

ComponenteFresco interoAlbume Tuorlo Congelato Polvere intero
NIACINA0.10.10.10.10.42
RIBOFLAVINA0.30.270.350.31.26
TIAMINA0.090.020.270.090.38
VITAMINA C00000
VITAMINA A ( ųg di retinolo equivalenti)2250640225942

Le proprietà

Dal punto di vista dietetico l’uovo fresco è meno nutriente dell’uovo cotto perché l’albumina non viene digerita ed è eliminata con le feci.

La semplice cottura a 70°C ne provoca la coagulazione e permette all’intestino di assorbirla meglio. Nell’uovo crudo, inoltre, è presente un fattore antinutrizionale come l’avidina.

Questa sostanza si lega alla biotina formando un complesso non digeribile, per cui le persone abituate a mangiare grandi quantità di uova crude possono incorrere in una carenza di questa vitamina con gravi conseguenze.

Con la cottura l’avidina si denatura e perde la sua peculiarità di fattore antinutrizionale. Con le uova è quindi possibile coprire il fabbisogno giornaliero di proteine nobili e di vitamine senza compromettere le funzioni del fegato; inoltre le uova offrono alcuni vantaggi alle persone della terza età grazie alla facilità di masticazione, all’elevata digeribilità e, non ultimo, al costo contenuto.

Un uovo dal peso medio di 55 grammi fornisce circa 70-100 Cal e, contrariamente a quanto si pensa, è facilmente digeribile; infatti due uova crude o alla coque, permangono nello stomaco due ore circa, mentre il latte rimane due ore e mezzo e la carne circa tre ore.

Da ciò si potrebbe dedurre che l’uovo può essere un alimento utile anche nelle diete ipocaloriche poiché possiede un ottimo potere saziante ed è anche particolarmente gustoso.

A conferma di ciò è giusto ricordare che è uno degli alimenti utilizzati dopo lo svezzamento per completare l’apporto nutritivo del latte, mentre durante la fase della crescita è fondamentale per gli apporti nutrizionali necessari alla costruzione di nuovi tessuti.

Secondo i nutrizionisti si possono consumare fino a quattro uova la settimana grazie al fatto che oggi questo è considerato un alimento sicuro e valido.

Controlli e tracciabilità

Il sistema produttivo permette alle aziende più avanzate di controllare tutte le fasi di produzione dall’allevamento alla distribuzione.

Attualmente, tutti i mangimi industriali sono certificati e prodotti con materie prime naturali selezionate.

Gli animali sono costantemente controllati da veterinari e tecnici delle aziende e dalle autorità publiche.

Il rispetto di regole stringenti, dalla fase di selezione fino al confezionato, offre ai consumatori la disponibilità di un alimento fresco e sicuro poiché le uova che non possiedono i requisiti stabiliti nei manuali di autocontrollo sono immediatamente scartate.

Come altri alimenti anche le uova possiedono una carta di identità che rivela al consumatore tutte le informazioni relative al metodo di produzione e alla loro provenienza. Poiché la freschezza è uno dei requisiti fondamentali di ogni alimento, nel caso dell’uovo rappresenta una necessità primaria: prima di acquistarlo diventa essenziale saper leggere tutte le informazioni riportate sulla confezione.

Dal 1° gennaio 2004 infatti, l’uovo deve riportare sul guscio un codice che permette al consumatore attento di conoscere la storia del prodotto.

Questo codice alfanumerico rappresenta la tracciabilità del singolo uovo ed è stato introdotto con il Regolamento CE 2295 del 2003.

Leggendo tale codice è possibile individuare il sistema di allevamento, la nazione di provenienza dell’uovo, la provincia e il comune dell’allevamento dove è stato deposto l’uovo e l’allevamento stesso da cui proviene.

Invece sulle confezioni dovranno essere riportati la data entro cui è preferibile consumare il prodotto, la categoria di appartenenza (qualità e peso), il numero di uova confezionate, il nome, la ragione sociale e il marchio commerciale dell’azienda, il numero di autorizzazione del centro d’imballaggio, le modalità di conservazione e il sistema di allevamento.


Zaleti– “Gialeti Veneziani”

I biscotti tipici di Venezia con farina di mais “Gialla” e uvetta.

Gialli come il colore del tuorlo d’uovo usato per la produzione.

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Utilizzo in pasticceria a padova


Un uovo di gallina intero pesa mediamente 61 grammi. Separando i diversi componenti si può notare che solitamente il guscio pesa circa 8 grammi, l’albume 37 grammi e il tuorlo 16 grammi.

La composizione nutrizionale dell’uovo di gallina riportata in tabella 1 è tratta dalla banca dati dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione.

Spesso in cucina e in pasticceria si utilizza solo una parte dell’uovo, per cui i valori nutrizionali del prodotto finito saranno diversi in relazione alla tipologia di uovo utilizzata.

Tuttavia, saranno sempre l’ampia esperienza, l’intuizione e la provata capacità dello chef/pasticcere i fattori determinanti per il successo o meno di quelle gustose preparazioni pasticciere che, purtroppo e troppo spesso, nella cosiddetta civiltà del benessere, in mancanza di una forte capacità di rinuncia portano al sovrappeso, all’obesità e alle note conseguenze di dover ricorrere a diete sempre più stringenti per riportare l’organismo a valori salutistici accettabili.

L’informazione e la conoscenza approfondita della qualità delle materie prime diventa quindi, per gli operatori del settore, un’esigenza improcrastinabile per continuare a offrire al consumatore cibi sempre più gustosi, ma anche dotati di peculiarità salutistiche.


Amarettoni Sant’Antonio

Quando le mandorle incontrano l’albume con lo zucchero e l’arancio di Sicilia.

Croccanti e gustosissimi accompagnati con la cioccolata in tazza.

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Raffinati abbinamenti di gusto

Le spezie: un mondo ancora molto da studiare e da far apprezzare

Il vino cotto e le spezie orientali

  • Un vino bollito in spezie provenienti dal oriente.
  • Frutta secca tostata
  • Mele sotto spirito con spezie anice stellato e curcuma.
  • Pan di Spagna
    • Il tutto avvolto nella sfoglia

Oggetto di culto e grande sperimentazione, sono ormai onnipresenti in molte proposte di pasticceria. Poche di esse sono tuttavia note e utilizzate, ecco quindi un’occasione per “incontrarne” altre e mettere a punto con esse ricette originali e prelibate.

Sono e saranno ancora per alcuni anni gli ingredienti di tendenza e quindi di punta della gastronomia e della pasticceria di alto livello. Parliamo delle spezie, sempre più studiate e oggetto di interesse e ricerca via via più appassionata da parte di chef e pasticcieri intenzionati a creare abbinamenti originali, ricchi di sapore e fascino.

Per approfondire questo argomento tanto vasto quanto misterioso, abbiamo incontrato il nostro collaboratore lilium, appassionato oltre ché esperto di erbe e spezie e autore in tanti anni di attività di numerose ed elaborate ricette a base di questi suggestivi aromatizzanti.

Nel nostro incontro in cui abbiamo preso in esame alcune spezie di Lilium Pasticceria specializzata in erbe aromatiche, sali e spezie, Lilium ci ha rivelato che nella sua scuola dell’Arte del Cioccolato conserva gelosamente oltre 280 spezie ed erbe aromatiche e in questo periodo si sta occupando intensamente di due in particolare, il Kava-Kava e il Kratom, di cui ci faremo rivelare proprietà, utilizzi e vantaggi non appena le sue ricerche avranno raggiunto risultati significativi.

USI E MIX IN PASTICCERIA

Il punto di partenza per comprendere l’importanza delle spezie e l’entità del loro utilizzo in pasticceria è dato per il nostro interlocutore dal seguente interrogativo: qual è il confine di gusto fra dolce e salato? e di conseguenza qual è il confine fra cucina e laboratorio? La risposta che abbiamo ricevuto è poco precisa quanto suggestiva: il limite è difficile da individuare perché sempre più labile, e spalanca degli scenari infiniti in cui spingersi e approfondire.

Un esempio chiarificante. Molte spezie finora utilizzate in cucina, come le bacche di ginepro, possono diventare un componente di primo piano anche nelle preparazioni di torte e biscotti, in alcune ricette si potrebbe pensare infatti di sostituire il neroli con il ginepro: secondo Enrico, potrebbe essere un accostamento valido. Questo per andare su un caso un po’ particolare. Parlando di spezie note come il pepe, usato da sempre, quanti pasticcieri saprebbero elencarne più di cinque qualità differenti e quanti le hanno effettivamente studiate per utilizzarle in nuove ricette? Enrico si dice affascinato dal pepe e afferma di conoscerne una ventina di tipi, tra cui il pepe al limone che definisce strepitoso per il gusto che risulta all’abbinamento con questo agrume.

TIPI PEPATI PARTICOLARI

Parlando ancora di questa spezia sia con Enrico sia Fabio di lilim, il discorso cade su due tipi di pepe particolari da provare senz’altro in dolci innovativi: il pepe bianco di Muntok e il pepe di Szechuan.

Il pepe bianco di Muntok, originario dell’Isola di Bangka ( Sumatra in Indonesia) – spiega Fabio non esiste in natura, si tratta del pepe nero decorticato, che diventa quindi più delicato di quello nero, ma dall’aroma persistente, ideale da abbinare alla frutta, al melone fresco ghiacciato o da macinare su macedonie assortite. Questa spezia ha un sapore piccante con una nota aromatica e si abbina bene con tutti i piatti. Una curiosità oggi il pepe bianco di Muntok è il pepe di riferimento per la borsa valori delle spezie di New York.

Il pepe di Szechuan, chiamato anche Fagara, più che un pepe è una bacca proveniente dalla Cina-ci spiega Fabio – di colore rosso molto scuro.

Una volta estratti i piccoli semi amari al suo interno, le bacche vengono lasciate seccare al sole.

Il sapore di questo pepe è fresco con una leggera nota di gusto di limone. Risulta ideale nelle mousse al cioccolato e nei sorbetti d’ananas. Concorda con queste osservazioni anche Enrico, che rileva come questa spezia sia simile allo zenzero con un retrogusto di feste di limone.

Nel suo vasto assortimento lilium presenta anche una Fantasia di pepe composta da bacche di pepe rosa, pepe verde, pepe bianco Muntok e pepe nero Tellicherry. Si tratta di ingredienti preziosi dosati con cura per creare una miscela di pepe dal gusto piacevole e inconfondibile.

Se oggi vanno per la maggiore piatti e dolci preparati con sali particolari, spezie come peperoncino, vaniglia e anice stellato, un tempo era molto utilizzato il Pan d’Epiche di Colmar, mix di cinque spezie (cannella, anice verde, chiodi di garofano, zenzero e cardamomo).

Il tè come spezia

Bevanda millenaria dalle magiche virtù, oggi non è più soltanto considerata in questa se pur suggestiva veste da sorseggiare nei pomeriggi festivi o da abbinare a piatti e ricette come il gusto vino consigliato da un esperto sommelier, ma entra in cucina e in laboratorio a far parte di quegli ingredienti con cui ogni chef o pasticcere dà vita a speciali creazioni.

Francesca Natale fondatrice di Arte del ricevere” e del progetto L’arte di offrire il Thé, ha messo a punto tante raffinate ricette da realizzare per far conoscere e apprezzare a tutti gli estimatori dell’alta cucina e pasticceria.

Per approfondire la conoscenza, degustare e ottenere delle consulenze si può visitare la Boutique Arte di lilim il thé a Padova e leggere il suo libro I misteri del tè, illustrato dalle foto.

Un capitolo di questo volume è dedicato a tè e food e propone una ricetta di frolle al tè, realizzabile soltanto con i mélange di Arte del ricevere Lilium, in particolare con il tè nero mélange Arte del Ricevere-Voyges Chocolat Île de Madagascar.

Si tratta di biscotti deliziosi, di semplice preparazione. L’impasto può essere preparato in grandi quantità e surgelato anche per un mese. Il tè nero mélange qui utilizzato è arricchito con pezzi di fava di cacao che conferisce alle frolle un gustoso aroma di cioccolato.

FROLLE AL TÈ CHOCOLAT

INGREDIENTI


  • Burro g 110
  • Zucchero bianco g 110
  • Uovo di media grandezza 1
  • Farina g 260
  • Sale 1 pizzico
  • Tè mélange Chocolat Île de Madagascar 1 cucchiaio

PROCEDIMENTO

Lavorare bene il burro con le mani e aggiungere poi lo zucchero così da ottenere un composto soffice al quale unire l’uovo. Aggiungere le foglie di tè alla farina e unire gli altri ingredienti.

Lavorare velocemente l’impasto, formare una palla da avvolgere con pellicola trasparente e lasciare riposare in frigorifero per 30 minuti. Tirare l’impasto e dare poi alla frolla la forma preferita utilizzando degli stampi. Pennellare la superficie con del latte e cuocere i biscotti nel forno a una temperatura media di circa 180°C per almeno 12 minuti o fino a che raggiungano un bel colore dorato.

Il vino cotto e le spezie orientali

  • Un vino bollito in spezie provenienti dal oriente.
  • Frutta secca tostata
  • Mele sotto spirito con spezie anice stellato e curcuma.
  • Pan di Spagna
  • Il tutto avvolto nella sfoglia
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    I come Isomalto con zucca

    “Ecco come dimezzare le calorie: usando l’isomalto!

    Interessantissimo il servizio di Lilium Pasticceria dedicato a questo singolare ingrediente usato sia in cucina sia in pasticceria.

    L’isomalto infatti esalta i sapori, può sostituire lo zucchero, e soprattutto non crea problemi alla nostra salute ”

    La crostata di zucca e cioccolato shop on-line

    L’ISOMALTO è uno straordinario sostitutivo dello zucchero.

    Piacevolmente dolce, a basso contenuto calorico, sicuro per i denti. Queste le qualità dell’ISOMALTO maggiormente apprezzate dai consumatori attenti alla salute.

    L’alto gradimento di Isomalto, da parte dei consumatori e degli addetti ai lavori, ha determinato il suo utilizzo in un sempre crescente numero di prodotti di confetteria di alta qualità, e in molti altri prodotti alimentari, tipo la pasticceria salata, quale ideale alternativa agli zuccheri e ai dolcificanti tradizionali.

    L’ISOMALTO sostituisce lo zucchero in un rapporto 1:1 mentre un dolcificante intensivo ( tipo la saccarina, l’aspartame, ecc …) non è in grado di conferire massa ad un prodotto finito, senza contare le controindicazioni anche gravi che hanno sull’organismo.

    È derivato esclusivamente dallo zucchero, il principio naturale dell’ISOMALTO è la barbabietola da zucchero.

    Attraverso un processo a due fasi, i componenti dello zucchero, glucosio e fruttosio, vengono utilizzati per dare origine all’isolato.

    Nella sua forma finale, ha lo stesso aspetto dello zucchero e, ormai come lo zucchero, è un ingrediente fondamentale nei prodotti di confetteria e nei prodotti dolciari in genere.

    Con L’ISOMALTO i valori del pH del cavo orale rimangono a livelli neutri mentre dopo l’assunzione di zucchero i valori del pH precipitano velocemente a livelli dannosi.

    Aiuta a prevenire la carie. I batteri del cavo orale, infatti, non lo possono utilizzare come fonte di energia, il che impedisce loro di produrre acidi dannosi che sono i principali responsabili dell’insorgere della carie.

    Inoltre, riduce la formazione dello smalto dentale. Queste caratteristiche hanno permesso a studiosi e dentisti di poter consigliare i prodotti realizzati con L’ISOMALTO quali unici prodotti dolciari in grado di prevenire la carie dentale.

    I diabetici che hanno la necessità di non far innalzare rapidamente i livelli di glucosio nel sangue, cosa che succede subito dopo l’assunzione di zucchero, e tutti coloro che prestano attenzione alla propria salute, traggono un grande beneficio dai prodotti realizzati con l’isomalto.

    Gli enzimi del corpo umano ne digeriscono, infatti, solo bassissime quantità e peraltro molto lentamente rispetto allo zucchero.

    Di conseguenza, il livello di zucchero nel sangue non varia dopo l’assunzione di isomalto.

    L’ISOMALTO agisce come le fibre alimentari proprio come le fibre alimentari dei fagioli, delle cipolle e di altri vegetali, L’isomalto appartiene al gruppo dei “carboidrati a bassa digeribilità”.

    Questi carboidrati stimolano l’attività intestinale e aiutano a combattere la stipsi. In alcune persone, un consumo eccessivo può provocare effetti lassativi.

    Testimonianze scientifiche dimostrano che, come gli alimenti ricchi di fibre quali, per esempio, uva e prugne, se consumato in quantità modeste è molto ben tollerato

    • L’isomalto dà un taglio alle calorie

    Dal punto di vista calorico, i prodotti con ISOMALTO hanno prestazioni migliori rispetto alle loro alternative con zucchero. Infatti, fornisce metà delle calorie dello zucchero in quanto il corpo umano lo assimila solo al 50%

    • L’ISOMALTO NON APPICCICA E FA MAGIE CON I SAPORI.

    Con la sua piacevole dolcezza, evidenzia i gusti sottili e preziosi quali la pesca, il melone, il mango e il frutto della passione. Il sapore puro e naturale dell’ isomalto non nasconde i sapori ma, al contrario, li esalta e li potenzia.

    Assorbe pochissima acqua. Di conseguenza, i prodotti di confetteria contenenti ISOMALTO non risultano appiccicosi, non si sciolgono, né si ammorbidiscono a temperature estive o in caso di alta umidità.

    Per esempio, le caramelle dure a base di ISOMALTO non necessitano di essere confezionate singolarmente e possono essere presentate in confezioni sicure per l’ambiente, e poco costose poiché non richiedono incarti supplementari.

    • L’ISOMALTO IN CUCINA

    Dell’utilizzo in pasticceria ne ho già parlato precedentemente, ma è interessante scoprire anche le applicazioni che l’isomalto può avere nel salato. Uno dei problemi più grandi, infatti, di quando si vuol preparare un impasto di pasticceria trasportandolo nella versione salata (per esempio pasta frolla salata, bisquit salati, pan di Spagna salati) è la mancanza dello zucchero nella struttura dell’impasto; togliendo lo zucchero da una ricetta, infatti, oltre ad eliminare il dolce, eliminiamo anche la struttura e la corposità dell’impasto in quanto viene meno una parte di “secco” nella ricetta; ecco perché l’isomalto, dolcificando circa la metà del saccarosio ( in pari quantità) è in grado di conferire all’impasto la stessa struttura della versione dolce, senza peraltro dolcificarlo troppo; inoltre aggiungendo il sale, eventuali formaggi o aromi salati, la parte dolce dell’isolato viene completamente mascherata. Nelle ricette che vi presento come esempio, ho realizzato una marmellata meno calorica e sopratutto meno dolce; per quanto riguarda invece la cucina, ho realizzato degli stuzzichini di pasta frolla salata, dalla consistenza friabile unica.

    • L’ISOMALTO come decorazione

    Si può senz’altro affermare che l’isomalto sta soppiantando quasi del tutto le decorazioni classiche fatte un zucchero tirato, soffialo e colato; infatti l’isomalto si comporta esattamente come lo zucchero, ma è decisamente più facile da lavorare. Permette di realizzare cotture semplici, senza caramellometro e senza aggiunta di glucosio, ottenendo masse decisamente più trasparenti e non ingiallite come il saccarosio, sembra del vero e proprio vetro soffiato. Per finire inoltre è meno vulnerabile all’umidità, infatti sopporta di più ambienti umidi diventando decisamente meno appiccicoso dello zucchero saccarosio.

    La torta di Zucca con Isomalto

    Confettura di Zucca e miele

    PER LA PRIMA COTTURA

    • Zucca leggermente bollita a fetta 1.500gr
    • Isomalto 500gr
    • Zucchero semolato 500gr
    • Zenzero radice 20gr
    • Succo di limone 20 gr
    • Miele di castagno 200 gr

    PER LA SECONDA COTTURA

    Fare bollire gli ingredienti per la prima cottura, schiumare, mettere in un recipiente, coprire con la pellicola a contatto con la frutta.

    Lasciare maturare per 12 ore a temperatura ambiente fresca. Trascorse 12 ore, aggiungere il succo di limone e portare a 64° al refrattometro.

    Poco prima del raggiungimento dei 64° gradi brix, aggiungere i pistacchi e i pinoli leggermente tagliuzzati. Invasare immediatamente in vasi ben puliti, asciugati e fatti sterilizzare a 100°C in forno per almeno un’ora.

    Chiudere immediatamente con il coperchio, lasciar raffreddare capovolgendo sottosopra i vasi. Etichettare e conservare in luogo buio e fresco.

    Ovis Molis con fonduta alla zucca

    PER GLI OVIS

    • Farina 00 1.000 gr
    • Fecola di patate 200 gr
    • Burro 800 gr
    • Isomalto 160 gr
    • Uova tuorlo cotto 320 gr
    • Zucca bollita 200 gr
    • Sale 15 gr
    • Formaggio grana parmigiano 100 gr
    • Noce moscata QB.

    PER LA FONDUTA

    • Latte intero fresco 300 gr
    • Formaggio montasio 300 gr
    • Zucca bollita 100gr
    • Burro 40 gr
    • Uova tuorlo 80 gr
    • Pepe bianco QB.
    • Noce Moscata QB.

    Procedimento

    PER GLI OVIS MOLIS: Mettere i tuorli d’uovo in un contenitore di plastica, quindi coprire con pellicola e cuocere a microonde fino a farli diventare sodi ( circa 1 minuto e mezzo).

    Lasciarli raffreddare, quindi passarli al setaccio fine o alla raffinatrice.

    Sabbiare in planetaria con foglia, la farina, la fecola, il burro e l’isomalto; aggiungere i tuorli d’uovo sodi e passati al setaccio, la zucca in passata al setaccio, il sale, la noce moscata e il parmigiano; lasciare riposare l’impasto in frigorifero per un ora circa.

    Stendere metà impasto allo spessore di 2 millimetri e metà impasto allo spessore di 4 millimetri.

    Coppare in entrambi i casi dei dischetti, e forare nel mezzo con un coppasta più piccolo i dischetti più spessi. Assemblarli insieme come per i vol au vent, quindi cuocere in forno a 160°C, valvola aperta per 15/20 minuti circa.

    Mettere il montasio la zucca , tagliati a quadretti, in una pentola con il latte, portare sul fuoco e sempre mescolando con un cucchiaio di legno far sciogliere il formaggio; togliere dal fuoco, aggiungere i tuorli d’uovo, il burro, ed emulsionare con il mixer ad immersione; lasciare raffreddare leggermente, quindi versare in un colino a pistone e riempire il foro degli ovis.

    Zucca Cioccolato la crostata

    La crostata con zucca mandorle e cioccolato.

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    Il frumento

    Il frumento (Triticum Sativum) o “grano” per antonomasia, ha caratterizzato più del riso e dell’orzo la civiltà dell’uomo.

    Il frumento (integrale) è un grano consolidatore del corpo e arricchisce l’organismo di vitamine (B,E,K,H) presenti nei suoi grassi (germe).

    Ricco di sali minerali specie ferro, fosforo, magnesio e potassio, abbondante la quantità di fibre alimentari (9,6 gr) ottime per prevenire il cancro al colon.

    Contiene 13/14 gr di proteine. Il componente proteico del frumento che si chiama ” glutine” , formato da due proteine, la gliadina e la glutenina, ha la possibilità di rigonfiarsi e fermentare/lievitare a contatto con l’acqua e con alcuni fermenti presenti nell’aria o nel lievito selezionato ( Saccharomyces Cerevisiae o lievito di birra).

    Le paste tengono la cottura e la tenacità proprio grazie al glutine ( sia per quantità della maglia glutinica ).

    Mentre il glutine ha delle ottime caratteristiche tecniche, le proteine del glutine hanno uno scarso valore biologico in quanto carenti di aminoacidi (lisina e treonina). Ecco perché la proteina del grano è poco assimilabile.

    Il glutine, inoltre, nelle persone allergiche ( morbo celiaco) non permette di far crescere i villi intestinali. Ciò comporta uno scarso assorbimento con relativi problemi di crescita e di mal nutrizione.

    Le Macinature

    • Dalla macinatura a pietra (35°C)
      • farina integrale: chicco intero
      • farina semintegrale: senza pericarpo esterno-interno, testa, aleurone (tipo 1 – tipo 2)
    • Dalla macinatura a cilindri (90°C)
      • farina bianca: senza pericarpo esterno-interno, testa, aleurone, germe, cruschello (tipo 0 – tipo 00- tipo 000). Ciò comporta uno scarso assorbimento con relativi problemi di crescita e di mal nutrizione.

    Lo sapevate che…

    … la farina bianca è molto povera di nutrienti, ma ricca di zuccheri complessi (amido) e proteine di scarso valore biologico ( glutine).

    … il chicco è diviso dall’industria per fare tanti altri sottoprodotti: per esempio, dal pericarpo e dalla testa si ottengono i flakes per la prima colazione, mentre dal germe si ottengono gli oli di semi e integratori minerali.

    … per l’industria è meglio lavorare la farina bianca in quanto non essendoci il germe con i suoi oli vegetali, il chicco non si irrancidisce e si conserva più a lungo

    Dolce St’antonio

    come è fatto:

    • Base di pasta sfoglia.
    • Farcita con marmellata di albicocche.
    • Arancio cotto a bassa temperatura.
    • Pan di Spagna alla mandorla.

    LA STORIA

    La storia tramandata un’incerta origine di questo prodotto. Potrebbe trattarsi di prodotto “italiano” portato nel mondo dai Genovesi o dolce ispirato da una ricetta del cuoco di corte portoghese, la “Biscoutos de la Reyna”.

    La prima ipotesi vuole che sia il pasticcere della delegazione inviata dalla Repubblica di Genova, nel 1747, alla corte di Madrid ad averlo chiamato “Pan di Spagna”.

    Il pasticcere infatti, dopo aver realizzato il dolce che lui chiamava ” Génoise ” in occasione di una cena, visto il gradimento da parte dei regnanti, decise di attribuirgli questo nome in loro onore.

    In altri testi se ne trova citazione, addirittura, a partire dalla fine del 1500, nel “Trinciante” di Reale Fusoritto, fra le pietanze del banchetto offerto a Castel S.Angelo in Roma ai figli del Duca di Baviera. Il Pan di Spagna si dice che “era creato da un’alchimia fisica generata con l’aria, tanta aria, ottenuta sbattendo lungamente zucchero e uova”.

    Anticamente in Italia il Pan di Spagna era cotto per lungo tempo e fatto biscottare ottenendo così un prodotto piuttosto secco che veniva utilizzato nelle zuppe al posto del pane, gustato come dolce fra i dolci, inserito nelle pietanze salate e nelle farce.

    Nel’600 si presume che sia nata la versione non biscottata, con cottura a temperatura più alte e per meno tempo lasciando così al dolce una raffinata morbidezza.

    Nel 1700 divenne il dolce più diffuso, il fiore all’occhiello di cuochi e pasticceri, che iniziarono anche a farcirlo e a bagnarlo con i prodotti più disparati.

    Dall’inserimento delle farciture, delle bagna e poi successivamente delle decorazioni, viene dato il via alla creazione di tutte quelle torte più classiche della tradizione pasticcera italiana.

    LA RICETTA

    Per il Pan di Spagna l’equilibrio sta nella montata di uova, che dovrà essere ben ferma e stabile, in modo da dare sofficità al prodotto cotto; le uova montano meglio a una temperatura compresa tra i 35°C e i 40°C; le polveri setacciate vanno incorporate dal basso verso l’alto.

    Questa operazione è fondamentale, perché altrimenti si potrebbe smontare completamente la massa vanificando tutto il lavoro della montatura con conseguente perdita di sofficità del prodotto finito ( è bene ricordare che il Pan di Spagna non ha lievito, l’unico elemento che lo rende soffice è l’aria incorporata in fase di montaggio).

    INGREDIENTI PER 8 PERSONE

    • Uova 500gr
    • Zucchero semolato 350gr
    • Farina 00 300gr
    • Fecola di patate 100gr
    • Vanillina 0,5gr

    Montare le uova intere con lo zucchero e la vanillina nella planetaria con la frusta, fino ad ottenere un composto spumoso e chiaro; togliere dalla machina ed aggiungere a mano con un cucchiaio di gomma la farina setacciata insieme alla fecola di patate, miscelando il tutto delicatamente dal basso verso l’alto.

    Mettere immediatamente il composto negli stampi imburrati ed infarinati, cuocere subito in forno a 190°C per 30 minuti circa.

    Vero Dolce del Santo cioccolato

    come è fatto:

    • Base di pasta sfoglia.
    • Farcita con marmellata di albicocche e ganache al cioccolato.
    • Arancio cotto a bassa temperatura.
    • Pan di Spagna alla mandorla e pezzi di cioccolato.

    Bosco medioevale, mensa sempre di turno

    La raccolta dei frutti spontanei è sempre un’attività economica volta allo sfruttamento delle risorse naturali. Al bosco ricorrevano i poveri, ma anche i ricchi, specialmente nei periodi di carestia.

    Fra i prodotti offerti spontaneamente dalla natura spiccavano sicuramente le castagne.Il castagno è uno degli alberi “portatorius ” , cioè portante i frutti. Anche i querceti erano “silva” e servivano sia alla produzione della legna (“silvae vulgares”) sia per produrre le ghiande destinate all’alimentazione dei maiali (“silvae glandiferae”).

    Ma il bosco forniva anche una miriade di altri frutti, che già nel Medioevo erano ben noti, alcuni dei quali apprezzati come l’ingrediente essenziale di molte vivande dell’epoca: le noci, le corniole o il ribes, ma anche le fragole ed i funghi.

    I tartufi erano già allora ornati di un particolare alone di mistero per il profumo e per la vita sotterranea.

    Il bosco era poi la fonte primaria del “sapore” dolce. Il miele, infatti, si raccoglieva solo nei boschi, dove le api selvatiche lo producevano nel cavo degli alberi.

    L’importanza di questo alimento era enorme se si considera che lo zucchero arriverà solo molto tardi nel Basso Medioevo.

    Oltre che nei cibi, il miele era usato nelle bevande come l’idromele (miele ed acqua calda) o nelle miscele con vino.

    Il miele era inoltre il componente essenziale di molti farmaci dell’epoca. Il bosco, dunque, arrivato sacro dalla civiltà romana, tale rimase anche nel Medioevo.

    Anche i poveri vi avevano accesso e con i suoi prodotti potevano in qualche modo cibarsi.

    Tartufo:

    Il diamante della cucina

    Circondato dal mistero, il tartufo, anche in antichità, ha dato origine a tante illazioni, ma la sua storia è pur sempre una favola.

    Gli autori greci e latini ne parlano, ma dalla loro descrizione si comprende molto bene che si riferiscono ad un prodotto ben diverso da quello che arriva oggi sulle nostre tavole.

    Si tratta sicuramente delle terfezie che, come funghi sotterranei, rassomigliano molto ai tartufi per la loro forma, ma sono prive di sapore e di profumo.

    Anche gli autori medievali parlano di questo elemento misterioso e lo stesso Petrarca ne accenna nel IX dei suoi sonetti, ma il documento più eloquente è tuttavia l’iconografia del Tacuinum Sanitatis, conservata alla biblioteca Casanatense.

    L’opera illustra un paggio intento a raccogliere tartufi neri da porre in un cesto, responsabili di provocare il “morbum melanconicum ” e le poche righe descrittive parlano di “terra tufulae “.

    Con lo splendore rinascimentale Caterina de’Medici portò il tartufo bianco alla corte di Francia. Il mistero della sua provenienza eccitò le fantasie poetiche di diversi autori, che identificarono la sua nascita dallo scatenarsi estivo di tuoni e fulmini.

    Il tartufo giace nascosto, come ogni tesoro che si rispetti, in un forziere, le viscere della terra, e madre natura ne ha affidato la chiave d’apertura prima al maiale e poi al cane.

    Per gustare il tartufo, denominato da Brillat-Savarin il “diamante della cucina” , bisogna mangiarlo in una giornata bigia, sotto un cielo d’alluminio, di fronte ad un bel camino acceso.

    Tutti gli altri frutti sono figli della terra e della luce, questo è figlio della terra e del buio.

    Creatura tenebrosa, divinità strappata al regno delle ombre, non possiede nulla di ciò che vive e si ciba di sole: né rami, né foglie, né tronco, né radici.

    Quanto mai appropriata è una storiella dove si racconta che Cavour fosse talmente convinto delle virtù diplomatiche di una buona cena e di un buon prodotto della terra, che quando un suo giovane segretario partì per un segreto incontro in terra di Toscana al fine di promuovere la bontà dei principi risorgimentali, si accertò che nel bagaglio ci fosse anche qualche pepita di tartufo.

    Castagna: gioiello dallo scrigno spinoso

    Frutto romantico, capace di suscitare ricordi, dolci melanconie, ed evocare le fiamme crepitanti del focolare, intorno al quale sedere in compagnia di amici e di buon vino. Il castagno è un albero maestoso, di grande splendore, longevo come la quercia e l’olivo.

    Il suo tronco diviene immenso, quasi una casa, con gallerie dove ci si può inerpicare e nascondere. Celebre è il castagno dell’Etna, detto dei Cento Cavalli, perché si narra che diede riparo sotto la sua chioma, durante un forte temporale, alla carrozza della regina Giovanna d’Aragona con il suo seguito di cento cavalieri.

    I frutti del castagno sono racchiusi in scrigni spinosi, che maturano in ottobre. Virgilio, Marziale, Boccaccio, L’Aretino, Pascoli ne fanno un gran coro di celebrazioni.

    In epoca romana le migliori castagne, quelle più grandi e ricercate (i marroni), arrivano dalla Campania e dalla Sicilia, e venivano “a lento fuoco abbrustolite” per finire addirittura sulla tavola degli Imperatori.

    Galeno (medico greco del II sec.) sostiene che le castagne danno al corpo un gran nutrimento, risvegliando anche l’appetito sessuale, ma ricorda inoltre che generano ventosità, gonfiore di ventre e mal di testa.

    Sulle molte qualità gastronomiche delle castagne c’è una leggenda medioevale. Qui si narra che la povera gente della montagna, stentando a trarre dalla magra terra il nutrimento, si mise a pregare il Signore di donargli un frutto che, come il grano per i coltivatori del piano e delle colline, li nutrisse.

    Il Signore ascoltò la preghiera, indicando ad uno di loro una pianta dalla quale cogliere un riccio. Questa spinosissima custodia, tracciandovi sopra un segno di croce s’apri donando i suoi gioielli. I frutti dall’aspetto invitante si rivelarono ottimi, sia bolliti che arrostiti, offrendo inoltre, se essiccati e macinati, una farina utile per mille ricette.

    Funghi e l’imperatore Claudio

    Per la forma singolare e per il comparire quasi all’improvviso nei boschi e nei prati, i funghi, sin dai tempi più antichi, sono stati oggetto d’interesse sia per fini alimentari, che per le curiosità che suscitavano.

    Questa la versione di una leggenda tramandataci dallo scrittore greco Pausania (II sec. a.C). ” Secondo la mitologia, l’eroe Perseo, dopo un lungo ed estenuante viaggio, stanco e assetato, si potè ristorare con l’acqua raccolta nel cappello di un fungo.

    Decise allora di fondere in quel luogo una nuova capitale e di chiamarla Micene (mykés fungo in greco), dando così vita ad una delle maggiori civiltà del passato, la “micenea”.

    Il simbolo di vita rappresentato dal fungo nella leggenda greca, diviene anche simbolo di morte nella civiltà romana. Qui, con il termine “fungus”, probabilmente si voleva indicare un “portatore di morte”.

    I Romani furono comunque grandi estimatori gastronomici dei funghi, soprattutto dei porcini e di quelli nati sotto il castagno. Addirittura l’imperatore Claudio (famoso per i giochi e le publiche feste, oltre che per una monumentale storia del popolo etrusco – completa di grammatica – andata purtroppo perduta) fu ghiottissimo di funghi, a tal punto da perderci la vita.

    Infatti, alcuni sostengono che la moglie Agrippina, desiderosa di mettere sul trono il figlio Nerone, lo abbia fatto avvelenare con funghi manipolati. La rapida crescita dei funghi e la velenosità di alcuni hanno suscitato un’infinita di pregiudizi per determinare le specie commestibili.

    Una delle credenze popolari più diffuse è quella che dichiara velenosi i funghi morsi dalle vipere o cresciuti a contatto con ferri arrugginiti.

    Questa convinzione, naturalmente falsa, derivava dal fatto che il fungo era ritenuto un’emanazione del terreno e di ciò che gli stava vicino, acquistandone quindi gli stessi pregi e difetti.

    “Figassa” Torta con fichi

    Come è fatta:

    • Farina gialla da polenta
    • Fichi macerati in grappa di veneta
    • Marmellata di fichi freschi

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    L come limone

    Il limone è un albero sempreverde ( Cytrus limon) tipico delle regioni calde.

    È caratterizzato da foglie ovali e fiori bianchi profumati.

    Il frutto è giallo, con la buccia rugosa ricca di oli essenziali utilizzati in profumeria e liquoria.

    Il suo succo, ricco di acido citrico e vitamina C, è usato come astringente e dissetante,.

    È il terzo agrume più prodotto in Italia ( dopo arancio e mandarancio).

    La coltivazione avviene in aree del bacino del Mediterraneo, la cui temperatura varia fra i 12° e i 38°C.

    In Italia la maggiore produzione si ha nella penisola Sorrentino- Amalfitana dove la coltivazione dell’agrume, dal sapore inconfondibile, dalla polpa succosa e dolce, dai colori vivi che ricordano il sole, dai profumi intensi, è diventata il simbolo della zona stessa.

    Coltivazioni minori si hanno in Sicilia, in Calabria e in Liguria.

    Altra caratteristica della coltivazione del limone è che la pianta non vive oltre i 200- 300 metri di altitudine.

    Normalmente una pianta di limone fruttifera dopo quattro anni in quantità crescente fino al quindicesimo anno. Ciò non toglie che esistano piante di limoni la cui età sfiora il centenario! Le sue origini asiatiche, probabilmente indiane.

    Il derivato più celebre di questo agrume, tipico di Sorrento e dei comuni limitrofi, ma ormai diffuso e conosciuto in tutto il mondo come prodotto Igp, ( Indicazione Geografica Protetta del 2000 ) è il Limoncello.

    Il famoso liquore è usato in pasticceria per insaporire

    Il Sant’Antonino

    Come è fatto:

    • Torroncino morbido al caramello
    • Ganache al cioccolato fondente e aroma nocciola
    • Nocciole tostate e pralinate
    • Ricoperto di cioccolato al latte

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    Come Cocco

    HABITAT E DESCRIZIONE

    La palma da cocco è fra le dieci piante più importanti del pianeta Terra. Nelle zone tropicali, oltre 400 milioni di abitanti attingono alle noci di cocco come principali sorgenti di grassi e proteine.

    La pianta intera è essenziale in ogni sua forma ed è alla base della vita di interi popoli.

    È una pianta di origine indomalese, il cui ambiente di coltura è quello tropicale o subtropicale, caratterizzata da uno stipite sottile e flessibile che può raggiungere i 30-40 metri; all’apice porta grandissime foglie palmate, lunghe tre o quattro metri, che formano un ciuffo apicale.

    I fiori sono riuniti in infiorescenze a spadice e sono unisessuali.

    La nota “noce di cocco” è il suo frutto: una drupa contenente un liquido zuccherino che, maturando, diviene carnoso ed essiccato costituisce la copra da cui si estraggono grassi e oli.

    Al momento della germinazione dell’embrione, la radichetta fuoriesce da uno dei tre poli germinativi visibili anche dall’esterno.

    Etimologia

    Il nome Cocos deriva probabilmente da un termine portoghese che significa scimmia, forse per la somiglianza della noce, con i suoi tre pori germinativi, ad un muso di scimmia.

    Il nome specifico nucifera deriva dal latino, con il significato di portatore di noci ( da fero = io porto e nux- nucis = noce).

    NOTE STORICHE

    In sanscrito la palma da cocco è chiamata Naryal; secondo un’antica tradizione indiana, per far si che un matrimonio riesca, occorre agitare una noce di cocco attorno alla testa dello sposo, e dopo averla rotta i suoi pezzi vanno lanciati in tutte le direzioni.

    È, inoltre, credenza comune che questo rito renda incapaci gli spiriti

    maligni di esercitare la loro diabolica influenza e la loro malignità sullo sposo.

    Regalare il frutto del cocco, nel corso di una cerimonia nuziale, è considerato di ottimo auspicio.

    La leggenda che vuole sacro questo albero è originata dal fatto che i suoi frutti assomigliano alla testa di un uomo; anticamente tale frutto veniva offerto agli dèi, come una sorta di sacrificio, al posto di una testa umana.

    Il cocco è inoltre un simbolo di fertilità ed è anche chiamato striphala, o frutto della grande bellezza.

    Sovente i suoi frutti venivano posti in una brocca ripiena d’acqua per invocare la benevolenza e i favori degli dèi, e la pianta era talmente venerata da essere considerata come simbolo di Dio.

    Purna kumbha era chiamata, in Nepal, tale brocca e ogni qual volta il regnante del Nepal partiva per un viaggio fuori dal suo stato, oppure ne tornava, le kumbhas, o l’acqua delle brocche, venivano poste ai lati della strada percorsa dal regnante. Ciò simboleggiava il successo della missione indiana e nepalese la corteccia del tronco del cocco, bruciata, veniva utilizzata come antisettico.

    I fiori hanno invece proprietà astringenti e il loro succo viene prescritto nella gonorrea.

    Componenti principali

    Prima di giungere a essiccamento, il tessuto interno contiene circa il 35% di grasso e il 10% di zucchero.

    La copra contiene trigliceridi quali acido laurico, miristico, caproico, oleico, palmitico, stearico. Sono presenti glucidi.

    Usi

    La Palma da cocco è probabilmente la palma più coltivata al mondo. Le noci di cocco rappresentano una delle principali fonti di reddito per i paesi produttori poiché da esse si ricavano un’infinità di prodotti utilizzati e apprezzati anche nei paesi occidentali. Anche altre parti della pianta sono comunque usate, come le foglie, con cui si realizzano cesti, coperture di tetti, ecc., o le gemme terminali della pianta ormai adulta che costituiscono un ottimo cavolo-palmizio, o ancora la linfa zuccherina che viene fatta sgorgare con opportuni tagli da alcune infiorescenze e dalla quale si ricava una bevanda alcolica nota come Toddy o vino di palma.

    La noce di cocco viene utilizzata per intero, come frutto o nelle sue parti: le fibre del mesocarpo, il latte, la mandorla o polpa, il guscio.

    Pan del Santo Padova

    Pan del Santo come è fatto:

    • Base di pasta sfoglia al Burro, 
    • Farcitura abbondante a con marmellata di albicocche
    • Arancio di Sicilia cotto a bassa temperatura.
    • Impasto di mandorle con burro e tuorlo d’uovo.

    Il cocco in medicina

    Molto apprezzata nella medicina tradizionale indiana, che ne utilizza la radice soprattutto come diuretico, nei disturbi epatici e nella dissenteria, la palma da cocco rappresenta, da ben 4000 anni, un elemento fondamentale nell’alimentazione dei popoli dei mari del Sud e Sud-est asiatico, in quanto importante fonte di grassi e proteine. Il succo, ottenuto prima e durante la fioritura, è impiegato per produrre il vino di palma e un suo distillato: l’arrak. La parte liquida del frutto, il latte di cocco, una volta giunta a maturazione assume una consistenza carnosa; quando viene essiccata diventa la copra, contenente circa il 63-70% di olio, il quale è anche utilizzato come condimento in cucina.

    Il cocco in cucina

    Con l’avvento della cucina etnica, il sempre maggior interesse per le cucine di altri popoli, la noce di cocco e tutti i suoi derivati , come il latte di cocco, la polpa di cocco, i germogli (palmiti), entrano sempre più di consueto nelle nostre cucine .

    Inoltre la cucina fusion, fa sì che questo frutto dal sapore tropicale, sia presente anche nei nostri piatti, creando delle vere e proprie miscellance di sapori, alla quale fino a pochi anni fa il nostro palato non era abituato, conoscendo il cocco soltanto come frutto e se stante.

    Adesso invece si creano fantastici accostamenti con il pesce, con le carni bianche, o gustosissime salse che accompagnano i più svariati piatti.

    Il cocco entra in campo anche nella preparazione di dessert che vanno oltre alla solita torta al cocco, o biscotti.

    Oggi si creano infatti originali accostamenti con altri sapori decisi come il pistacchio, o perché no come nella ricetta che vi proponiamo qui di seguito accostandolo al caffè.

    In questo bicchierino che ho chiamato “caffeciocco” , incontrerete diverse sensazioni, dall’amaro del caffè al dolce del cocco alle note speziate della crema inglese, e per ultimo, ma non per importanza, dal freddo della parte sottostante ( crema inglese e panna al cocco) alla soffice spuma calda al caffè.

    Ideale come dopo-dessert, vista la preferenza del caffè e del batida de cocco, ma ottimo anche come piccola delizia da servire in qualsiasi momento della giornata.


    Caffè ciocco

    Ingredienti

    Per la spuma calda al caffè

    • Caffè espresso 350gr
    • Panna 150gr
    • Zucchero semolato 80gr
    • Colla da pesce in fogli 6gr

    Per la panna batida de cocco

    • Panna 350gr
    • Zucchero 60 gr
    • Batida de cocco 100gr
    • Polpa al cocco 50gr

    Per la crema speziata

    • Latte intero fresco 400gr
    • Panna 100 gr
    • Uova tuorlo 100 gr
    • Zucchero semolato 100gr
    • Spezie varie 1 gr

    Procedimento

    Sciogliere lo zucchero e la colla di pesce nel caffè caldo, aggiungere la panna e riporre nel sifone. Montare la panna con lo zucchero e il batida de cocco. Portare a bollore il latte con la panna, miscelare i tuorli, zucchero e spezie. Versare sulla panna bollente e cuocere a 85° C.

    Composizione finale: mettere sul fondo del bicchierino la crema speziata, versare sopra la panna al cocco, spolverare di cacao e terminare sifonando il caffè caldo.

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    “u” come uva

    OGGIGIORNO È DIFFUSA IN PIÙ DI 40 PAESI AL MONDO, ANCHE SE PIÙ DELLA METÀ DELLA PRODUZIONE MONDIALE SI HA IN EUROPA: L’ITALIA DETIENE IL PRIMATO, CON OLTRE QUINDICI MILIONI DI TONNELLATE.

    Dolce Sant’Antonio

    Pan del Santo come è fatto:

    • Base di pasta sfoglia al burro
    • Farcitura abbondante con marmellata di albicocche.
    • Arancio di Sicilia cotto a bassa temperatura
    • Pan di Spagna/ Impasto alla mandorla con burro e tuorlo d’uovo.

    La storia

    La vite, Vitis vinifera, è una pianta antichissima le cui origini risalgono a 8000 anni fa in Asia, nelle terre comprese tra il Mar Nero, il Mar Caspio e l’Iran settentrionale. La Bibbia, nel libro della Genesi, ci riferisce che Noè, finito il diluvio universale, attraccò a terra, piantò una vite e si ubriacò del suo vino.

    Alcuni geroglifici mostrano che era coltivata anche dagli Egiziani.

    Nel 600 avanti Cristo arrivò in maniera importante in Europa ad opera dei Fenici; nel II secolo dopo Cristo gli antichi romani, che ne avevano sviluppato nuove varietà, la introdussero anche in Germania.

    L’importanza della viticoltura continuò anche nei secoli del Medioevo, dove erano i monaci Benedettini i maggiori coltivatori, all’interno delle mura dei monasteri.

    Non è certo quando sia iniziata in Italia la viticoltura: le prime testimonianze nell’Italia del Nord risalgono al X secolo a.C.

    Oggigiorno è diffusa in più di 40 Paesi al mondo, anche se più della metà della produzione mondiale si ha in Europa: L’Italia detiene il primato, con oltre quindici milioni di tonnellate.

    Botanica

    La vite è una pianta col fusto contornato, solitamente verticale, pur subendo diverse inclinazioni a seconda della forma di coltura.

    Le foglie della vite sono semplici, con cinque nervature, in alcuni casi anche ricoperte da una leggera peluria.

    La pianta si sostiene per mezzo dei viticci, erbacei durante l’estate, legnosi alla fine del ciclo vegetativo.

    I fiori, ermafroditi, sono molto piccoli, riuniti a formare un’infiorescenza che può contenere fino a 100 unità.

    Il frutto della vite è una bacca, comunemente chiamata acino, costituita da una buccia esterna di colore variabile, dalla polpa interna del frutto in cui sono contenuti i semi o vinaccioli.

    Gli acini sono posti sui peduncoli che formano, assieme con il raspo, il grappolo.

    La forma, la dimensione, il colore e il sapore cambiano a seconda della varietà .

    La vite presenta una vasta adattabilità al clima, solamente richiede una certa esposizione al sole.

    Negli ambienti viticoli dell’Italia meridionale ed insulare non esiste il problema in quanto questa risulta più che sufficiente a garantire una corretta maturazione, con il giusto grado zuccherino.

    Nel settentrione esiste invece una correlazione diretta tra l’esposizione al sole ed il contenuto zuccherino, o l’epoca di maturazione dell’uva.

    Quando si raggiungono temperature troppo basse, come -15°C in inverno, la vite inizia a manifestare danni; solamente alcuni ibridi resistono fino a -25/-40°C.

    Nelle zone a bassa piovosità primaverile-estiva è necessaria un’oculata regimazione idrica in modo da conservare nel terreno l’acqua caduta durante l’inverno evitando così il raggrinzamento degli acini e l’appassimento totale della pianta.

    La viticoltura italiana è caratterizzata da una notevole varietà di ambienti pedoclimatici, di vitigni e di tradizioni locali che hanno contribuito alla diffusione di numero sistemi di allevamento e potatura.

    I principali sistemi di allevamento sono : Alberello, Guyot, Capovolto, Cordone speronato, Sylvoz, Pergola trentina, Pergola veronese, Pergola romagnola, Tendone, Sistema a raggi o Bellussi, Geneva Double, Curati (GDC), Duplex, Alberate.

    La raccolta dell’uva è una delle operazioni maggiormente onerose nel bilancio viticolo.

    Nel caso di vendemmia manuale un operatore può raccogliere mediante 80-120 kg/h di uva, a seconda del sistema di coltivazione e delle condizioni operative.

    Le machine vendemmiatrici, a scuotimento orizzontale o verticale, sono sicuramente più veloci ma non sempre utilizzabili.

    Dopo la raccolta, l’uva viene destinata in maniera consistente al consumo fresco o alla produzione di vino, oppure può essere impiegata per ottenere prodotti differenti come:

    • succhi limpidi
    • sciroppati al naturale da aggiungere alle macedonie;
    • prodotti conservati in alcol;
    • distillati;
    • uva disidratata

    Varietà

    Ci sono moltissime varietà di uve, con tanti colori diversi: giallo, verdognolo, rosso, rosato, violaceo e nero.

    Due sono le grandi famiglie principali: le uve da tavola con buccia sottile, polpa compatta e pochi semi e le uve da vino, utilizzate per l’appunto in enologia con polpa più succosa e tenera.

    La stagione di produzione dell’uva è diversa a seconda delle varietà, in linea di massima è in un periodo compreso tra la tarda estate e l’autunno, da Luglio a Novembre.

    Negli altri periodi si può trovare in commercio uva di importazione, originaria dai paesi del centro/Sud America come California ed il Cile.

    Nel contesto viticolo italiano sono più di 300 le varietà di uve da vino.

    Alcune hanno grande diffusione, mentre altre sono limitate a una o due province.

    Le principali sono:

    Vitigni da uve bianche: Albana, Bombino Bianco, Catarratto; Insolia Bianca, Malvasia, Moscato, Pinot, Prosecco, Riesling, Tocai Friulano, Trebbiano, Vernaccia;

    Vitigni da uve rosse: Aglianico, Barbera, Cabernet, Canaiolo, Cannonau, Dolcetto, Lambrusco, Marzemino, Merlot, Nebbiolo, Pinot Nero, Sangiovese.

    Le uve apirene, dedicate all’essiccazione non sono molto diffuse in Italia; vengono invece coltivate in Paesi come la Grecia, la Turchia e l’Australia.

    Per quanto riguarda l’uva da tavola, anche in questo caso l’Italia si piazza tra i primi posti come paese produttore.

    Le varietà sono sicuramente molteplici, tra le più importanti vale la pena di citare:

    • Palieri, dal bel colore nero-violaceo presenta grappoli grandi dalla forma simmetrica, acini di madia dimensione, caratterizzati da una polpa soda notevolmente dolce.
    • Cardinal, considerata una delle migliori varietà di uva precoce, presenta grappoli abbastanza grandi, di bell’aspetto e colore rosso-violaceo, acini medio-grandi contenenti una polpa leggermente croccante e gustosa.
    • Apirene, famiglia varietale tra le più pregiate ed apprezzate tra le uve da tavola. Appartenenti alla famiglia, per quanto riguarda quelle a buccia nera, ricordiamo Perlon e Pasiga; tra quelle a buccia bianca invece Sugraone e Centennial, Sublime. Tutte caratterizzate da un grappolo conico con peso medio variabile tra i 500 ed i 700 grammi, acini medio-grandi, ovoidali con un colore che varia da violaceo scuro a giallo dorato.
    • Italia, è senza dubbio una delle più apprezzate uve da tavola, sia per l’aspetto, che per il gusto, caratterizzato da un gradevole e delicato sapore di moscato. Caratterizzata da grappoli grandi e consistenti, con acini grossi, ovoidali di un bel colore giallo dorato.
    • Regina, uno dei vitigni più antichi e diffusi tra le uve da tavola, di sicura origine orientale, forse Siriana, è stata introdotta in Italia dagli antichi Romani. Grappolo grande e lungo, piramide o cilindrico, acini di forma ellittica color giallo dorato, polpa croccante e dolce, dal sapore neutro, sono le caratteristiche di questa “regina” della tavola.

    Alimentazione

    Questo straordinario frutto dalle mille virtù trova ampio spazio nell’alimentazione umana, sia consumato fresco che sottoforma di dissetante succo.

    Molto utilizzato nel campo della pasticceria, soprattutto nella sua forma essiccata come uva sultanina, trova utilizzi anche in cucina, come guarnizione di preparazioni, a base di carne o pesce, caratterizzandoli con un particolare gusto dolciastro.

    Piatti della cucina regionale, in particolare del sud Italia, come la pasta con le sarde o la caponata di melanzane, sono solo alcuni esempi dell’utilizzo dell’uva in cucina.

    L’uva risulta essere un alimento estremamente digeribile, dalle numerose proprietà terapeutiche: in primis svolge un’azione lassativa e diuretica; possiede anche proprietà disinfettanti ed antivirali, giova al sistema nervoso, ed è utile nei processi di demineralizzazione dell’organismo.

    Al fine di sfruttare al meglio le sue virtù terapeutiche, deve essere consumata al mattino, a digiuno.

    In cosmesi viene utilizzato il succo per creare prodotti che schiariscono ed ammorbidiscono la pelle.

    Molto ricca di zuccheri facilmente digeribili, quali Fruttosio e Glucosio, contiene inoltre buone quantità di sali minerali, soprattutto Potassio e Calcio, mentre risulta scarso l’apporto vitaminico, eccezione fatta per la vitamina C che si trova in modeste quantità.

    La buccia degli acini è ricca di pigmenti ed oli essenziali, i vinaccioli ( i semi) sono ricchi di tannini e di olio, estratto per essere utilizzato anche in cucina in presenza di esigenze alimentari particolari.

    Composizione e valore energetico dell’uva


    per 100 gr di prodotto

    PARTE EDIBILE 94%
    ACQUA 80,3gr
    PROTEINE0,5gr
    LIPIDI0,1gr
    GLUCIDI DISPONIBILI15,6gr
    FIBRA ALIMENTARE1,5gr
    ENERGIA61kcal
    SODIO1mg
    POTASSIO192mg
    FERRO0,4mg
    CALCIO27mg
    FOSFORO4mg
    NIACINA0.1mg
    VITAMINA C 6mg

    RICETTE PROFUMI SAPORI E FANTASIA

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    Il Latte: e i suoi derivati

    Una panoramica su questo alimento/ingrediente essenziale in laboratorio per ricordarne le tipologie e le caratteristiche principali per potere utilizzare al meglio la qualità più adatta alle varie preparazioni ed esaltare di volta in volta il suo sapore in abbinamento agli altri componenti delle ricette.

    Per la legge italiana il latte alimentare è ” il prodotto ottenuto dalla mungitura regolare, ininterrotta e completa di animali in buono stato di salute e nutrizione”.

    Il latte di mammiferi è un alimento utilizzato dall’uomo da sempre (almeno 6.000 anni) e da sempre la ricerca della bontà e della qualità sono fattori determinanti per le scelte alimentari.

    L’importanza del latte nell’alimentazione è riportata anche da Leonardo Da Vinci nel Codice Atlantico, che cita: “Voltolina, com’è detto, valle circondata d’alti e terribili monti, fa vini potenti ed assai, e fa tanto bestiame, che da paesini è concluso nascervi più latte che vino”.

    Dal punto di vista commerciale, il latte che ha maggior importanza commerciale è quello vaccino (Bos taurus), per cui per la legislazione italiana con la sola denominazione “latte” si deve indicare esclusivamente il latte vaccino.

    Il latte di altri animali deve essere indicato facendo seguire alla parola latte la denominazione della specie cui appartiene l’animale che lo ha prodotto.

    Dal punto di vista chimico-fisico, il latte si presenta come un liquido bianco opaco, con tendenza al giallognolo quando il contenuto di grasso è elevato, cremoso e di sapore leggermente dolciastro.

    Il latte è formato essenzialmente da una fase acquosa e una fase disperdente nella quale gli altri componenti, che costituiscono la fase dispersa, possono trovarsi sotto varie forme; è quindi un liquido biologico opalescente con sapore dolciastro e odore delicato che contiene:

    • in Soluzione: lattosio, sali minerali, vitamine idrosolubili;
    • in Soluzione Colloidale: proteine del siero;
    • in Dispersione: caseina
    • in Emulsione: grassi, vitamine liposolubili;
    • in Sospensione: cellule, microrganismi.

    La composizione varia a seconda della razza dell’eta dell’animale del tipo di alimentazione, della stagione e delle condizioni ambientali.


    Lo Zucchero di latte

    Il lattosio è il maggior costituente solubile del latte, con una concentrazione compresa tra 4,5 e 5,0 g/ 100 ml; essendo l’unico disaccaride di origine animale viene chiamato “zucchero di latte”.

    La molecola di lattosio è costituita da glucosio e galattosio con la funzione aldeidica del galattosio libera. Il lattosio è poco solubile ma fermenta facilmente ad opera dei lattobacilli, è digerito lentamente e per l’assorbimento deve venire scisso dalla lattasi, un enzima presente nella mucosa intestinale dei mammiferi. L’attività lattasica è particolarmente intensa alla nascita e poi decresce sino a raggiungere i valori basali. Varie sono le funzioni nutrizionali attribuite al lattosio.

    Prima fra tutte quella di stimolare l’assorbimento di alcuni minerali, in particolare del calcio, probabilmente con un meccanismo che si compie a livello gastrointestinale. Inoltre, poiché il lattosio è assorbito lentamente, si instaura una favorevole flora intestinale che è in grado di sintetizzare alcune vitamine, in particolare del complesso B, che vengono successivamente assorbite dall’ospite; si realizza così un’azione di risparmio su queste vitamine.

    La presenza del galattosio, nella molecola del lattosio, rappresenta poi un fattore essenziale per la sintesi dei mucopolisaccaridi e dei cerebrosidi, questi ultimi costituenti strutturali del sistema nervoso.

    La presenza di lattasi nel latte è stata a lungo

    discussa; sembra che sia normalmente presente in piccola quantità

    le ghiandole intestinali secemono una lattasi ma non in grande quantità e la secrezione dipende dalla presenza del substrato ( in alcune razze umane la deficienza in lattasi è frequente).

    Il lattosio è la sostanza indispensabile per moltissime fermentazioni che si sviluppano nel latte, tra le quali l’importantissima fermentazione lattica, essenziale nella produzione dei derivati del latte.

    La trasformazione del lattosio in acido lattico è opera dei batteri mesofili e tra 37 e 47°C per quelli termofori e viene sfruttata per la produzione di yogurt.

    Per azione del calore il lattosio può dare luogo a reazioni che devono essere controllate nei limiti del possibile al fine di evitare la comparsa di gusti e aromi non graditi nei latti alimentari e in genere, nei derivati del latte a lunga conservazione.

    La più importante di queste reazioni è quella tra la funzione aldeidica dello zucchero e i gruppi di alcuni amminoacidi, che costituisce il primo passaggio dei cicli di reazioni autocatalitiche, note come reazioni di Maillard, che portano alla formazione di melanoidine, responsabili dell’imbruttimento e del gusto di sterilizzazione nel latte alimentare sottoposto a trattamento di sterilizzazione

    Un ingrediente ricco di proteine

    Le proteine sono rappresentate per circa l’80% da caseina e per il rimanente da proteine del siero.

    La caseina, un gruppo eterogeneo di fosfoproteine elaborate esclusivamente dalla ghiandola mammaria, è precipitata dagli acidi in prossimità del punto isoelettrico (pH 4,6 e 20°C).

    I componenti principali della caseina, le cui molecole sono costituite dalla associazione di più monomeri, sarebbero, in ordine quantitativamente decrescente: una caseina 𝛼, una caseina 𝛽, una caseina 𝜅 e una caseina 𝛾.

    Le proteine del siero sono costituite per circa il 20% da una 𝛼-lattalbumina; per il 44-50% da una 𝛽-lattoglobulina; per circa il 20% da protesi-peptoni; per circa il 10% da immunoglobuline di tipo G, per circa il 5% da una albumina del siero con caratteristiche del tutto simili a quelle del siero di sangue; infine vi sarebbero piccole quantità di lattotransferrina ( una glicoproteina che ha la proprietà di fissare reversibilmente il ferro) e di vari enzimi.

    La frazione lipidica è formata da trigliceridi ( 98-99%), da fosfolipidi (0,2-1,0%) da steroli (0,2-0,4%) e da tracce di acidi grassi liberi, cere, squalene e vitamine liposolubili.

    I fosfolipidi, pur rappresentando una percentuale molto bassa, rivestono un’importanza particolare perché influenzano la qualità del latte e dei suoi derivati durante i trattamenti di risanamento e di conservazione.

    Tipi di latte

    IL latte crudo

    La legislazione italiana e Comunitaria permettono oggi la vendita di latte crudo, esclusivamente tra il produttore ed il consumatore, sempre che l’allevamento di provenienza abbia le condizioni igienico-sanitarie adeguate.

    Stanno diffondendosi in Italia i distributori di latte crudo gestiti direttamente dagli allevatori, le cui mandrie sono sottoposte a particolari controlli igienico-sanitari.

    Il latte crudo acquista in questi distributori autorizzati può essere consumato direttamente senza ulteriori trattamenti, essendo sicuro; infatti la carica batterica è estremamente bassa, inferiore a quella del latte pastorizzato degli anni ’80.

    È eventualmente consigliabile agitare la bottiglia prima del consumo; infatti il prodotto non è omogeneizzato, e di conseguenza il grasso tende a separarsi e a galleggiare.

    La carica batterica naturale presente nel latte alimentare non ne permette una conservazione ed una facile distribuzione.

    È molto importante quindi trattarlo per la conservazione in quanto, non di rado, il latte deve compiere tragitti lunghi tra il punto di raccolta e quelli di consumo.

    La legislazione vigente non ammette l’impiego di additivi chimici conservanti, pertanto il latte, subito dopo la mungitura, è ammesso in uno stabilimento di trattamento e qui trattato nelle quattro ore successive al suo arrivo o mantenuto ad una temperatura di 4°C fino a che non è sottoposto a trattamenti basati sull’impiego di calore.

    Il latte pastorizzato ( H:T:S:T: = High Temperature Short Time) deve essere ottenuto mediante un trattamento che comporta un’elevata temperatura per un breve periodo di tempo ( almeno 72°C per 15 secondi), oppure mediante un trattamento di pastorizzazione che impieghi diverse combinazioni di tempo e temperatura raggiungendo un effetto equivalente; immediatamente dopo la pastorizzazione, il latte deve essere raffreddato per raggiungere una temperatura di 4°C e confezionato in contenitori opachi in modo da evitare l’azione alterante della luce.

    Il Latte UHT

    Questo tipo di latte prende il nome da Ultra High Temperature, o media conservazione, deve essere ottenuto mediante applicazione al latte crudo di un procedimento di riscaldamento continuo ad almeno 135°C, per non meno di un secondo, in modo da inattivare i microrganismi e le spore, e confezionato in recipienti opachi e asettici in modo da rendere minime le variazioni chimiche, fisiche e organolettiche.

    Il Latte sterile

    Questo latte a lunga conservazione si ottiene con un processo che assicura non solo l’eliminazione di tutte le forme microbiche patogene, ma anche di tutte le spore, comprese quelle maggiormente termoresistenti; il latte viene prima di tutto omogeneizzato, quindi preriscaldato a 40°C per qualche secondo, raffreddato rapidamente a 80°C, imbottigliato e sterilizzato a 120°C per 15 minuti.

    Le modificazioni nutrizionali indotte da questi trattamenti sono diverse; con la pastorizzazione sono in genere modeste, perché le proteine non subiscono gravi deterioramenti, la vitamina C si perde anche per azione della luce e la vitamina B12, pur essendo termostabile, è influenzata tuttavia negativamente dalla vitamina C in presenza di ossigeno. La sterilizzazione in bottiglia arreca danni maggiori anche alle proteine; la sterilizzazione UHT è invece preferibile.

    Uno dei più recenti sistemi per il trattamento dei latte è basato sulla microfiltrazione.

    Questa è una tecnica di sterilizzazione non termica.

    Essa consiste nel far passare il latte, spesso preventivamente scremato, in filtri dai fori microscopici. Il trattamento non sostituisce le sterilizzazioni termiche, viene invece usato in combinazione con esse.

    Il latte microfiltrato si conserva commestibile in frigorifero per oltre 10 giorni.

    In alternativa al latte vaccino, si può utilizzare il latte di bufala che ha sapore dolce, colore bianco opaco dovuto all’assenza di carotenoidi.

    IL pH oscilla tra 6,6-6,8. Il grasso è tra 6-9% con prevalenza dell’acido oleico tra gli acidi insaturi e dell’acido palmitico tra gli acidi saturi. Le sostanze azotate, variano dal 3,8-4% da albumine e globuline. Le sostanze azotate non proteiche variano tra 0,20-0,30%.

    Il lattosio varia tra 4,5-5%. Le principali differenze di natura chimica e chimico-fisica tra i due tipi di latte (bufalino e vaccino) sono rappresentate dal contenuto in grasso e in proteine: caratteri, questi, fondamentali per la caseificazione con valori medi, rispettivamente, del 7,5% e 4,4% nel latte bufalino e del 3,3% e 2,7% nel latte vaccino.

    I PRODOTTI

    Latte fresco pastorizzato di Alta Qualità

    Prodotto in condizioni rigidamente controllate, presenta particolari requisiti igienico-sanitari e di composizione (grassi, proteine).

    Alta Qualità non è uno slogan commerciale sulla bontà del prodotto, ma una vera e propria categoria merceologica, indicata dalla legge n° 169 del 3/5/1989.

    I requisiti necessari affinché il latte fresco pastorizzato sia definitivo di Alta Qualità sono così rigorosi che poche aziende italiane sono oggi in grado di proporre questo tipo di latte.

    Queste condizioni che sono continuamente sottoposte a controllo, riguardano la selezione e lo stato di salute delle razze bovine, la loro alimentazione, l’igiene delle stalle, le condizioni di mungitura, la raccolta e distribuzione, la struttura della centrale di lavorazione, i trattamenti termici ed il confezionamento del latte.

    Latte scremato e parzialmente scremato: Centrifugazione a 6500-7000 giri/minuto.

    • Latte scremato < 0,3% di grasso.
    • Latte parzialmente scremato 1,5 – 1,8%

    Latte delattosato

    Prodotto dietetico. Il lattosio è scisso in galattosio e glucosio attraverso l’enzima 𝛃 galattosidasi.

    A causa della liberazione del glucosio ha un sapore più dolce.

    Latte concentrato e latte in polvere

    Sono considerati conserve di latte. Si preparano dal latte intero, scremato o parzialmente scremato, dalla crema di latte e/o da una miscela di questi mediante parziale o totale eliminazione di acqua.

    La legge prevede:

    • trattamento termico sulle materie prime ( almeno la pastorizzazione):
    • impiego di additivi antiossidanti e stabilizzanti;
    • conservazione mediante sterilizzazione o UHT e confezionamento asettico per il latte parzialmente disidratato ( totalmente disidratato umidità residua <5%).
    Latte in polvere a “solubilità istantanea”
    • Trasformando il latte preconcentrato in schiuma iniettando emulsionanti e azoto gassoso e successiva essiccazione ( Foam-drying);
    • riumidificando la polvere di latte con aria satura di vapore ed essiccandola di nuovo con aria calda (il lattosio passa dalla forma amorfa a quella cristallina e la polvere assume una tessitura porosa),

    I latti disidratati sono usati per:

    • consumo diretto (aiuti umanitari);
    • produzioni industriali (cioccolato, biscotti, gelati, carni conservate).

    La legge italiana (L. 138/74 e L.527/85) vieta la vendita di latte e prodotti caseari ottenuti da latte in polvere o concentrato.

    Il latte in polvere destinato all’infanzia o come prodotto dietetico è regolato dalla legge 327/51 e dal D.P.R. 578/53

    Per produrre questo latte occorrono specifiche autorizzazioni ministeriali.

    Purtroppo, spesso anche il latte è soggetto a possibili frodi: le più numerose riguardano il tenore in grasso differente rispetto al dichiarato, trattamenti di risanamento non consentiti, latte fresco ottenuto da latte precedentemente pastorizzato o latte ottenuto dalla ricostituzione con latte in polvere.

    È molto difficile dare consigli utili tuttavia quando si acquista il latte, sarebbe opportuno controllare che il latte pastorizzato sia stato conservato nel frigorifero del rivenditore, la data di scadenza sul contenitore e non si dovrebbero acquistare quantitativi superiori al necessario.

    Per l’utilizzo del latte è preferibile impiegare sempre latte senza bollitura ma solo se è stato conservato opportunamente nel contenitore non ancora aperto. Una volta aperto il contenitore il latte non è più sterile per cui, oltre a conservarlo in frigorifero a 4°C, deve essere sempre bollito o, meglio, trattato con vapore (come al bar) o fatto bollire con forno a microonde.