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Il frumento

Il frumento (Triticum Sativum) o “grano” per antonomasia, ha caratterizzato più del riso e dell’orzo la civiltà dell’uomo.

Il frumento (integrale) è un grano consolidatore del corpo e arricchisce l’organismo di vitamine (B,E,K,H) presenti nei suoi grassi (germe).

Ricco di sali minerali specie ferro, fosforo, magnesio e potassio, abbondante la quantità di fibre alimentari (9,6 gr) ottime per prevenire il cancro al colon.

Contiene 13/14 gr di proteine. Il componente proteico del frumento che si chiama ” glutine” , formato da due proteine, la gliadina e la glutenina, ha la possibilità di rigonfiarsi e fermentare/lievitare a contatto con l’acqua e con alcuni fermenti presenti nell’aria o nel lievito selezionato ( Saccharomyces Cerevisiae o lievito di birra).

Le paste tengono la cottura e la tenacità proprio grazie al glutine ( sia per quantità della maglia glutinica ).

Mentre il glutine ha delle ottime caratteristiche tecniche, le proteine del glutine hanno uno scarso valore biologico in quanto carenti di aminoacidi (lisina e treonina). Ecco perché la proteina del grano è poco assimilabile.

Il glutine, inoltre, nelle persone allergiche ( morbo celiaco) non permette di far crescere i villi intestinali. Ciò comporta uno scarso assorbimento con relativi problemi di crescita e di mal nutrizione.

Le Macinature

  • Dalla macinatura a pietra (35°C)
    • farina integrale: chicco intero
    • farina semintegrale: senza pericarpo esterno-interno, testa, aleurone (tipo 1 – tipo 2)
  • Dalla macinatura a cilindri (90°C)
    • farina bianca: senza pericarpo esterno-interno, testa, aleurone, germe, cruschello (tipo 0 – tipo 00- tipo 000). Ciò comporta uno scarso assorbimento con relativi problemi di crescita e di mal nutrizione.

Lo sapevate che…

… la farina bianca è molto povera di nutrienti, ma ricca di zuccheri complessi (amido) e proteine di scarso valore biologico ( glutine).

… il chicco è diviso dall’industria per fare tanti altri sottoprodotti: per esempio, dal pericarpo e dalla testa si ottengono i flakes per la prima colazione, mentre dal germe si ottengono gli oli di semi e integratori minerali.

… per l’industria è meglio lavorare la farina bianca in quanto non essendoci il germe con i suoi oli vegetali, il chicco non si irrancidisce e si conserva più a lungo

Dolce St’antonio

come è fatto:

  • Base di pasta sfoglia.
  • Farcita con marmellata di albicocche.
  • Arancio cotto a bassa temperatura.
  • Pan di Spagna alla mandorla.

LA STORIA

La storia tramandata un’incerta origine di questo prodotto. Potrebbe trattarsi di prodotto “italiano” portato nel mondo dai Genovesi o dolce ispirato da una ricetta del cuoco di corte portoghese, la “Biscoutos de la Reyna”.

La prima ipotesi vuole che sia il pasticcere della delegazione inviata dalla Repubblica di Genova, nel 1747, alla corte di Madrid ad averlo chiamato “Pan di Spagna”.

Il pasticcere infatti, dopo aver realizzato il dolce che lui chiamava ” Génoise ” in occasione di una cena, visto il gradimento da parte dei regnanti, decise di attribuirgli questo nome in loro onore.

In altri testi se ne trova citazione, addirittura, a partire dalla fine del 1500, nel “Trinciante” di Reale Fusoritto, fra le pietanze del banchetto offerto a Castel S.Angelo in Roma ai figli del Duca di Baviera. Il Pan di Spagna si dice che “era creato da un’alchimia fisica generata con l’aria, tanta aria, ottenuta sbattendo lungamente zucchero e uova”.

Anticamente in Italia il Pan di Spagna era cotto per lungo tempo e fatto biscottare ottenendo così un prodotto piuttosto secco che veniva utilizzato nelle zuppe al posto del pane, gustato come dolce fra i dolci, inserito nelle pietanze salate e nelle farce.

Nel’600 si presume che sia nata la versione non biscottata, con cottura a temperatura più alte e per meno tempo lasciando così al dolce una raffinata morbidezza.

Nel 1700 divenne il dolce più diffuso, il fiore all’occhiello di cuochi e pasticceri, che iniziarono anche a farcirlo e a bagnarlo con i prodotti più disparati.

Dall’inserimento delle farciture, delle bagna e poi successivamente delle decorazioni, viene dato il via alla creazione di tutte quelle torte più classiche della tradizione pasticcera italiana.

LA RICETTA

Per il Pan di Spagna l’equilibrio sta nella montata di uova, che dovrà essere ben ferma e stabile, in modo da dare sofficità al prodotto cotto; le uova montano meglio a una temperatura compresa tra i 35°C e i 40°C; le polveri setacciate vanno incorporate dal basso verso l’alto.

Questa operazione è fondamentale, perché altrimenti si potrebbe smontare completamente la massa vanificando tutto il lavoro della montatura con conseguente perdita di sofficità del prodotto finito ( è bene ricordare che il Pan di Spagna non ha lievito, l’unico elemento che lo rende soffice è l’aria incorporata in fase di montaggio).

INGREDIENTI PER 8 PERSONE

  • Uova 500gr
  • Zucchero semolato 350gr
  • Farina 00 300gr
  • Fecola di patate 100gr
  • Vanillina 0,5gr

Montare le uova intere con lo zucchero e la vanillina nella planetaria con la frusta, fino ad ottenere un composto spumoso e chiaro; togliere dalla machina ed aggiungere a mano con un cucchiaio di gomma la farina setacciata insieme alla fecola di patate, miscelando il tutto delicatamente dal basso verso l’alto.

Mettere immediatamente il composto negli stampi imburrati ed infarinati, cuocere subito in forno a 190°C per 30 minuti circa.

Vero Dolce del Santo cioccolato

come è fatto:

  • Base di pasta sfoglia.
  • Farcita con marmellata di albicocche e ganache al cioccolato.
  • Arancio cotto a bassa temperatura.
  • Pan di Spagna alla mandorla e pezzi di cioccolato.

Bosco medioevale, mensa sempre di turno

La raccolta dei frutti spontanei è sempre un’attività economica volta allo sfruttamento delle risorse naturali. Al bosco ricorrevano i poveri, ma anche i ricchi, specialmente nei periodi di carestia.

Fra i prodotti offerti spontaneamente dalla natura spiccavano sicuramente le castagne.Il castagno è uno degli alberi “portatorius ” , cioè portante i frutti. Anche i querceti erano “silva” e servivano sia alla produzione della legna (“silvae vulgares”) sia per produrre le ghiande destinate all’alimentazione dei maiali (“silvae glandiferae”).

Ma il bosco forniva anche una miriade di altri frutti, che già nel Medioevo erano ben noti, alcuni dei quali apprezzati come l’ingrediente essenziale di molte vivande dell’epoca: le noci, le corniole o il ribes, ma anche le fragole ed i funghi.

I tartufi erano già allora ornati di un particolare alone di mistero per il profumo e per la vita sotterranea.

Il bosco era poi la fonte primaria del “sapore” dolce. Il miele, infatti, si raccoglieva solo nei boschi, dove le api selvatiche lo producevano nel cavo degli alberi.

L’importanza di questo alimento era enorme se si considera che lo zucchero arriverà solo molto tardi nel Basso Medioevo.

Oltre che nei cibi, il miele era usato nelle bevande come l’idromele (miele ed acqua calda) o nelle miscele con vino.

Il miele era inoltre il componente essenziale di molti farmaci dell’epoca. Il bosco, dunque, arrivato sacro dalla civiltà romana, tale rimase anche nel Medioevo.

Anche i poveri vi avevano accesso e con i suoi prodotti potevano in qualche modo cibarsi.

Tartufo:

Il diamante della cucina

Circondato dal mistero, il tartufo, anche in antichità, ha dato origine a tante illazioni, ma la sua storia è pur sempre una favola.

Gli autori greci e latini ne parlano, ma dalla loro descrizione si comprende molto bene che si riferiscono ad un prodotto ben diverso da quello che arriva oggi sulle nostre tavole.

Si tratta sicuramente delle terfezie che, come funghi sotterranei, rassomigliano molto ai tartufi per la loro forma, ma sono prive di sapore e di profumo.

Anche gli autori medievali parlano di questo elemento misterioso e lo stesso Petrarca ne accenna nel IX dei suoi sonetti, ma il documento più eloquente è tuttavia l’iconografia del Tacuinum Sanitatis, conservata alla biblioteca Casanatense.

L’opera illustra un paggio intento a raccogliere tartufi neri da porre in un cesto, responsabili di provocare il “morbum melanconicum ” e le poche righe descrittive parlano di “terra tufulae “.

Con lo splendore rinascimentale Caterina de’Medici portò il tartufo bianco alla corte di Francia. Il mistero della sua provenienza eccitò le fantasie poetiche di diversi autori, che identificarono la sua nascita dallo scatenarsi estivo di tuoni e fulmini.

Il tartufo giace nascosto, come ogni tesoro che si rispetti, in un forziere, le viscere della terra, e madre natura ne ha affidato la chiave d’apertura prima al maiale e poi al cane.

Per gustare il tartufo, denominato da Brillat-Savarin il “diamante della cucina” , bisogna mangiarlo in una giornata bigia, sotto un cielo d’alluminio, di fronte ad un bel camino acceso.

Tutti gli altri frutti sono figli della terra e della luce, questo è figlio della terra e del buio.

Creatura tenebrosa, divinità strappata al regno delle ombre, non possiede nulla di ciò che vive e si ciba di sole: né rami, né foglie, né tronco, né radici.

Quanto mai appropriata è una storiella dove si racconta che Cavour fosse talmente convinto delle virtù diplomatiche di una buona cena e di un buon prodotto della terra, che quando un suo giovane segretario partì per un segreto incontro in terra di Toscana al fine di promuovere la bontà dei principi risorgimentali, si accertò che nel bagaglio ci fosse anche qualche pepita di tartufo.

Castagna: gioiello dallo scrigno spinoso

Frutto romantico, capace di suscitare ricordi, dolci melanconie, ed evocare le fiamme crepitanti del focolare, intorno al quale sedere in compagnia di amici e di buon vino. Il castagno è un albero maestoso, di grande splendore, longevo come la quercia e l’olivo.

Il suo tronco diviene immenso, quasi una casa, con gallerie dove ci si può inerpicare e nascondere. Celebre è il castagno dell’Etna, detto dei Cento Cavalli, perché si narra che diede riparo sotto la sua chioma, durante un forte temporale, alla carrozza della regina Giovanna d’Aragona con il suo seguito di cento cavalieri.

I frutti del castagno sono racchiusi in scrigni spinosi, che maturano in ottobre. Virgilio, Marziale, Boccaccio, L’Aretino, Pascoli ne fanno un gran coro di celebrazioni.

In epoca romana le migliori castagne, quelle più grandi e ricercate (i marroni), arrivano dalla Campania e dalla Sicilia, e venivano “a lento fuoco abbrustolite” per finire addirittura sulla tavola degli Imperatori.

Galeno (medico greco del II sec.) sostiene che le castagne danno al corpo un gran nutrimento, risvegliando anche l’appetito sessuale, ma ricorda inoltre che generano ventosità, gonfiore di ventre e mal di testa.

Sulle molte qualità gastronomiche delle castagne c’è una leggenda medioevale. Qui si narra che la povera gente della montagna, stentando a trarre dalla magra terra il nutrimento, si mise a pregare il Signore di donargli un frutto che, come il grano per i coltivatori del piano e delle colline, li nutrisse.

Il Signore ascoltò la preghiera, indicando ad uno di loro una pianta dalla quale cogliere un riccio. Questa spinosissima custodia, tracciandovi sopra un segno di croce s’apri donando i suoi gioielli. I frutti dall’aspetto invitante si rivelarono ottimi, sia bolliti che arrostiti, offrendo inoltre, se essiccati e macinati, una farina utile per mille ricette.

Funghi e l’imperatore Claudio

Per la forma singolare e per il comparire quasi all’improvviso nei boschi e nei prati, i funghi, sin dai tempi più antichi, sono stati oggetto d’interesse sia per fini alimentari, che per le curiosità che suscitavano.

Questa la versione di una leggenda tramandataci dallo scrittore greco Pausania (II sec. a.C). ” Secondo la mitologia, l’eroe Perseo, dopo un lungo ed estenuante viaggio, stanco e assetato, si potè ristorare con l’acqua raccolta nel cappello di un fungo.

Decise allora di fondere in quel luogo una nuova capitale e di chiamarla Micene (mykés fungo in greco), dando così vita ad una delle maggiori civiltà del passato, la “micenea”.

Il simbolo di vita rappresentato dal fungo nella leggenda greca, diviene anche simbolo di morte nella civiltà romana. Qui, con il termine “fungus”, probabilmente si voleva indicare un “portatore di morte”.

I Romani furono comunque grandi estimatori gastronomici dei funghi, soprattutto dei porcini e di quelli nati sotto il castagno. Addirittura l’imperatore Claudio (famoso per i giochi e le publiche feste, oltre che per una monumentale storia del popolo etrusco – completa di grammatica – andata purtroppo perduta) fu ghiottissimo di funghi, a tal punto da perderci la vita.

Infatti, alcuni sostengono che la moglie Agrippina, desiderosa di mettere sul trono il figlio Nerone, lo abbia fatto avvelenare con funghi manipolati. La rapida crescita dei funghi e la velenosità di alcuni hanno suscitato un’infinita di pregiudizi per determinare le specie commestibili.

Una delle credenze popolari più diffuse è quella che dichiara velenosi i funghi morsi dalle vipere o cresciuti a contatto con ferri arrugginiti.

Questa convinzione, naturalmente falsa, derivava dal fatto che il fungo era ritenuto un’emanazione del terreno e di ciò che gli stava vicino, acquistandone quindi gli stessi pregi e difetti.

“Figassa” Torta con fichi

Come è fatta:

  • Farina gialla da polenta
  • Fichi macerati in grappa di veneta
  • Marmellata di fichi freschi

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